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Premio Rossellini 2007, VIII Edizione fra azioni e visioni

Pubblicato il 19 novembre 2007 da Mario Bove


Premio Rossellini 2007, VIII Edizione fra azioni e visioni

Maiori, città al centro della Costiera Amalfitana in provincia di Salerno, ha ospitato l’ottava edizione del Premio Rossellini. Dal 5 al 10 novembre sei giorni dedicati a film e dibattiti sul tema “I pregiudizi del nostro tempo”. Protagoniste della rassegna le opere vincitrici scelte dalla giuria presieduta da Renzo Rossellini, figlio del grande regista scomparso trenta anni or sono. Seguendo le tracce lasciate dal padre del Neorealismo italiano, il festival ha proposto uno sguardo sulla realtà che si spingesse oltre il luogo comune, con lavori provenienti da terre depresse dalla camorra e dalla guerra. Premi attribuiti ai registi Abbas Kiarostami, per l’attività da sempre profusa nel portare sullo schermo le storie invisibili della propria terra, ad Amos Gitai per Disengagement ed il coraggio mostrato nell’essere inclemente, sulla questione palestinese, nei confronti dell’Israele, sua terra di nascita; al direttore pakistano Shoaib Mansoor, che ha raccontato con toni aspri la difficile situazione del suo popolo dopo l’11 settembre con In the name of God, un film che gli è valsa una condanna a morte dagli esponenti religiosi del suo paese. La statuetta del premio, che riproduce una caricatura di Rossellini disegnata da Fellini, è andata anche al giovane statunitense Marc Di Benedetto, produttore e autore di Hometown Bagdad, documentario-testimonianza sulla vita dei suoi coetanei della Bagdad contemporanea, divisi fra l’amore per la loro terra, l’orrore della guerra e la disperata ricerca di una condizione normale che possa fargli ben sperare per il futuro. Premiati anche i ragazzi di Casal di Principe che hanno girato Se non fosse accaduto, lavoro a tinte rosa adolescenziali sul tema degli amori maldestri e delle incomprensioni affettive fra ragazzi.

Il festival ha registrato un cambio di formula rispetto al passato, rinunciando alla produzione di cortometraggi realizzati dagli studenti europei di cinema. In sostituzione, l’appuntamento inaugurale del 5 è stato riservato a “Lo sbarco dei corti”, selezione di lavori presentati dall’omonimo festival che si svolgeva Positano e dalle opere edite dal Premio Rossellini nelle precedenti edizioni. Non è mancata invece la componente didattica, occasione per appassionati di cinema e ragazzi delle scuole di seguire seminari su sceneggiatura, regia e montaggio con professionisti del settore, nonché di assistere a proiezioni allestite appositamente negli istituti scolastici.

Domenica a Maiori, la cerimonia di premiazione ha attraversato numerosi momenti di riflessione e confronto, con un ottimo Enzo De Caro nelle vesti di presentatore. Renzo Rossellini ha voluto ricordare in apertura Enzo Biagi, amico di famiglia oltre che eminente giornalista e partigiano, scomparso pochi giorni fa. Con la voce rotta dalla commozione ha commentato la proiezione di un’intervista di Biagi a Roberto Rossellini, in occasione del colpo di stato in Cile del ’73. Con vibrante indignazione, Renzo ha stigmatizzato la viltà, il comportamento criminale e l’ipocrisia di chi ha sottratto Biagi al suo pubblico, negando poi ogni addebito nel giorno dei suoi funerali.
Ma la polemica non ha lasciato subito il palco grazie ad un breve scambio di battute fra un rappresentante del comune di Casal di Principe (che ha accompagnato il cast di Se non fosse mai accaduto) ed Enzo De Caro. Pietra dello scandalo, Gomorra la caustica opera di Roberto Saviano che analizza ed attacca il sistema camorristico dei Casalesi. Proprio alla sua riduzione cinematografica, prodotta dalla Fandango di Procacci e diretta da Matteo Garrone, sono stati attribuiti il premio Canon ed il Premio Rossellini prima ancora dell’ultimazione. Un modo per la giuria di sancire il valore dell’iniziativa.
Consegna del premio Rossellini a distanza per Amos Gitai che ha voluto ringraziare l’organizzazione con un video testimonianza portato dalla figlia. Renzo ha offerto la sua comprensione per l’ostracismo con cui la cultura israeliana sta ripagando l’artista, ricordando l’amarezza che provò il padre di fronte ad una critica negativa mossa, senza argomentazioni, a Paisà. Il maestro ha conservato nel suo portafogli quell’articolo fino alla morta, come fosse stata una indelebile cicatrice nel suo animo. “Amos sta soffrendo per la stessa stupidità altrui” ha ribadito il presidente del festival.
Ultimo riconoscimento a Kiarostami che, come ringraziamento, ha espresso la sua gratitudine a Rossellini, colui che ha portato il cinema fuori dai teatri di posa. “La sua opera”, ha detto, “è il vero premio per tutti, siano essi autori o semplici spettatori”. Renzo ha ricordato come il regista iraniano e Gitai siano stati i primi vincitori della prima edizione del premio Rossellini a Cannes venti anni fa e, scherzosamente, si è riproposto di riassegnar loro un ulteriore riconoscimento fra altre due decadi.
La serata ha però dovuto assistere ad un calo di pubblico rispetto alle scorse edizioni, visibile anche nell’assenza delle consuete rappresentanze politiche, segno forse del graduale disinteresse mostrato dai governi locali e nazionali per la cultura.

Cosa abbiamo visto

La giornata di apertura è stata dei giovani. Con il loro volto pulito e la speranza nel cuore, hanno voluto testimoniare come l’impegno nell’arte, nel teatro e nel cinema possa offrire una scelta alternativa alla legge violenta della malavita. I ragazzi della compagnia I Murattori di Positano hanno proposto la performance teatrale Delitti esemplari di camorra, scritta da Francesco Buonocore, una collezione di frammenti della vita trascorsa sotto l’ombra del Sistema.
Di tutt’altro registro, questa volta leggero e spensierato, Se non fosse mai accaduto opera prima di un gruppo di ragazzi di Casal di Principe (CE), cresciuti nella parrocchia che fu retta da Don Peppino Diana, prete ucciso brutalmente dai clan casalesi per la sua resistenza ai locali poteri criminali. Il regista Domenico Del Piano e la sceneggiatrice Alfonsina Venditti, insieme ai loro amici, hanno scelto di raccontare un’ordinaria storia d’amore fra adolescenti, senza però minimamente accennare alla presenza della camorra. Nonostante tutti i limiti tecnici dell’inesperienza, è stato applaudito l’impegno di questi cineasti in erba al cospetto di una realtà certamente non facile.

Cambio di location nei filmati di Hometown Bagdad, un lavoro collettivo a più mani di registi irakeni emergenti sotto la supervisione dell’italo-americano Marc Di Benedetto. In uno zoppicante italiano, il giovane autore ha spiegato l’urgenza che ha avvertito nel testimoniare la speranza e la voglia di normalità cui si aggrappano i circa dieci milioni di abitanti nella capitale irakena. Le immagini che i mezzi d’informazione ci restituiscono dalle zone di guerra del Golfo Persico sono drammatiche, annegano il futuro nel sangue, sono sature di morte e orrore. La guerra è sicuramente reale ma di Bagdad viene nascosta la capacità dei suoi abitanti nell’aspettarsi un futuro migliore, dove gesti banali come andare all’università o recarsi al mercato non debbano essere un salto verso la morte. Tre ragazzi, uno studente di medicina, un dentista in attesa di vedere riconosciuto il proprio titolo, un musicista alle prime armi, giovani diversi per estrazione sociale, interessi e progetti, ma accomunati dalla continua ricerca di una condizione stabile, una fuga mentale e fisica dal rimbombo mortale della guerra. Il giornalista arabo Erfan Rashid, in veste di presentatore, ha proposto una similitudine fra l’odierna Bagdad, luogo dove è nata la civiltà antica del Tigri e dell’Eufrate, e la Roma “città aperta” del dopoguerra. In entrambi i casi, sotto le ceneri del conflitto, i nuovi germogli della vita cominciavano a spuntare. Rossellini oggi sarebbe potuto andare in Irak per documentare quanto stia accadendo e per comprendere, come sempre mirava a fare nei suoi lavori, le ragioni che muovono la Storia. Di Benedetto ha confessato inoltre di aver avuto numerose difficoltà nel distribuire il suo film nei circuiti televisivi americani, più che per ragioni politiche per questioni finanziarie. “I network statunitensi”, ha ammesso, “non sono interessati a prodotti poco commerciali. Ma qualcosa è iniziata a cambiare con il gran numero di spettatori che hanno visto e scaricato Hometown sulla Rete”.

Meno spigliato di Di Benedetto, il regista Shoaib Mansoor che nel suo portamento schivo mostra un’umile ma solenne fermezza. Il suo film Khuda Kay Live (In the name of God) racconta della tormentata storia di due pakistani, fratelli ed entrambi musicisti, delle loro diverse scelte di vita caratterizzate da in difficile rapporto con l’Islam. Fra amori negati e struggenti, viaggi lontano dal Pakistan, di cui viene fornita una visione tutt’altro che idilliaca, si inserisce il tragico evento dell’11 settembre che cambierà irrimediabilmente le loro esistenze, così come quella di tutti i musulmani in America. La pellicola è l’occasione per rivolgere una dura critica alla reazione su entrambi i fronti a oriente e occidente. Visto quasi come un traditore Mansoor ha una condanna a morte che pende sulla testa, cosa che ovviamente lo preoccupa, ha riferito, ma che non muta i suoi pensieri, né ferma il suo lavoro.

Kiarostami è stato sicuramente l’ospite più blasonato della rassegna. Non ha però emozionato molto, trincerandosi dietro degli impenetrabili occhiali da sole ed offrendo il lato più istituzionale della sua figura. L’opera del regista selezionata per l’ultima giornata di proiezione è stata Sotto gli ulivi. La narrazione segue il canone del meta cinema presentando le fasi di ripresa di un film. Lo sfondo è quello di un Iran arretrato, rurale e conservatore entro cui si muove con difficoltà una troupe alla ricerca di attori non professionisti. All’aridità del paesaggio che sembra permeare anche le persone che lo abitano, fa da contraltare la storia d’amore fra i due protagonisti.
Nella serata di premiazione, il pubblico ha assistito, non senza sgomento, ad un cortometraggio di 17 minuti di camera fissa puntata su una scogliera flagellata dalle onde. Su di essa tre uova di gabbiano che, smosse dalle onde, venivano ad una ad una rapite dal mare. Non essendo certamente un prodotto di facile consumo, ad alcuni è sembrato poco più di un filmato casuale, mentre gli organizzatori hanno tenuto a precisare la volontà di Kiarostami di omaggiare il cinema Zen. Fortuito o voluto, questo corto, proiettato in sostituzione del previsto Roads to Kiarostami, fissa sul nastro un racconto vero e proprio che vede degli oggetti “recitare” come sorretti da un copione. Si è verificata una sorta di creazione spontanea di una trama, sembrata palpabile nel momento in cui, sul finire della visione, il terzo uovo è uscito di scena seguito dalla sottolineatura dell’applauso (liberatorio) del pubblico, segno che un senso struttura e la percezione di atto finale era stato avvertito.


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