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Presentazione Berlinale 2018

Pubblicato il 13 febbraio 2018 da Matteo Galli


Presentazione Berlinale 2018

Apre dopodomani la 68esima edizione della Berlinale. La giuria, composta da sei membri, è presieduta da Tom Tykwer, gli altri membri non sono conosciutissimi a parte Ryuchi Sakamoto e, in parte, l’attrice belga Cécile de France. Su 19 film in concorso ben 8 vantano capitale tedesco (seguiti a ruota dalla Francia che ne ha 7). Molto distanziati gli altri paesi, mai più di due, persino gli USA, anche se – come vedremo – due film di produzione/coproduzione americana sono fuori concorso. Partiamo dai film tedeschi. In realtà solo 3 sono diretti da registi tedeschi, due dei quali noti anche in Italia, ossia Christian Petzold (La scelta di Barbara, Il segreto del suo volto) e Philipp Gröning (dal celebre Il grande silenzio al meno noto La moglie del poliziotto che passò a Venezia e venne distribuito). A Berlino Petzold presenta un film tratto dal celebre romanzo di Anna Seghers sui profughi tedeschi in Francia, in attesa di emigrare oltre oceano, intitolato Transit (tradotto in italiano ora con Visto di transito ora con Transito). Gröning invece presenta a Berlino un film dal titolo meraviglioso Mio fratello si chiama Robert ed è un idiota (Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot). Il terzo regista tedesco si chiama Thomas Stuber, è del 1981, ed è poco noto persino in Germania, figuriamoci fuori, tanti cortometraggi e tanta TV, questo è il terzo film e si chiama In den Gängen (Nei corridoi) ed è incentrato sull’impiegato di un ipermercato. Vi è in realtà un quarto film di una regista tedesca, ma di origine iraniana (Emily Atef), che si intitola 3 Tage in Quiberon (3 giorni a Quiberon), un film su Romy Schneider. Gli altri quattro film di coproduzione tedesca, presenti in concorso, sono il film paraguayano Las Herederas, film d’esordio di Marcelo Martinessi, Touch me not della rumena Adina Pintilie, cui vanno aggiunti il film di Laura Bispuri Figlia mia, con cui la regista italiana torna a Berlino in concorso tre anni dopo Vergine giurata (dove, con un certo stupore, non vinse nulla), film su una figlia contesa da due madri con Alba Rohrwacher e Valeria Golino. L’ultimo film di coproduzione tedesca è anche il primo, quello che inaugura il festival, ossia il film di animazione Isle of Dogs di Wes Anderson, col che il regista texano si ritrova quattro anni dopo Grand Budapest Hotel, nuovamente, ad inaugurare il festival della capitale tedesca, che lo lanciò con The Royal Tenenbaums. Per la prima volta uno dei grandi festival europei è peraltro inaugurato da un film di animazione. Quanto alla Francia, oltre a co-produrre il film paraguayano, i film di Petzold, di Gröning, di Emily Atef e il film di Adina Pintilie, è presente con un film di Cédric Kahn su una conversione di un tossicodipendente intitolato La prière (La preghiera) e co-produce insieme al Belgio il film di Benoit Jacquot intitolato Eva su uno scrittore falsario e una prostituta d’alto bordo, interpretata dall’immancabile Isabelle Huppert. Gli USA sono presenti con l’ultimo film di Gus Van Sant (Don’t worry, we don’t get far on foot) e con il film indipendente dei fratelli David e Nathan Zeller, uno western intitolato Damsel, peraltro entrambi i film, pur in concorso, sono già passati a Sundance (un tempo i film in concorso a Berlino erano assolutamente inediti). Dei sette film restanti, quattro sono europei, due asiatici e uno centroamericano, proveniente cioè dal Messico. Il film messicano s’intitola Museo, lo ha girato Alonso Ruizpalacios, di cui era molto piaciuto Guëros, tanto da arrivare persino in Italia. C’è dunque di che ben sperare. I due asiatici uno sono dell’iraniano Mani Haghighi che presenta un film intitolato Khook ossia Maiale e che deve riscattarsi da un precedente passaggio al festival nient’affatto convincente, il film era stato accolto in Concorso due anni fa e si intitolava A Dragon Arrives. L’altro è Lav Diaz: dopo i 482 minuti di A Lullaby To The Sorrowful Mistery dell’anno scorso, ritorna con un “cortometraggio” Season of the Devil, di soli 234 minuti. I quattro europei sono, a diverso titolo, promettenti. Due registi a Berlino in concorso ci sono già stati, il russo Alexey German Jr, tre anni fa con il notevole Under Electric Clouds e oggi con un biopic dedicato allo scrittore dissidente Sergei Dovlatov (il film s’intitola proprio Dovlatov) e l’altra è la polacca Malgorzata Szumowska che non solo è già stata in Concorso ma che, in occasione della sua ultima presenza, è anche stata premiata, il film si chiamava Body e vinse il premio per la regia nel 2015, anch’esso ebbe un brevissimo passaggio in Italia. Quest’anno il suo film s’intitola Twarz ossia Faccia e ha come protagonista un emarginato che subisce un grave incidente e deve sottoporsi a un trapianto appunto del volto. Gli ultimi due registi vengono dal Nord Europa: il norvegese Erik Poppe – beniamino di Berlino ma mai in concorso - che gira un film sulla strage di Utøya (Utøya July 22) e la coppia di registi svedesi (seconda coppia in concorso) Axel Petersén e Måns Månsson che girano un film che in inglese suona The Real Estate. Niente film dell’Asia Orientale, dunque, e niente film africani. Fuori concorso la Berlinale di film ne presenta cinque: l’ultimo di Soderbergh, intitolato Insane; il film dedicato all’operazione Entebbe del 1976 (7 Days in Entebbe, la regia è di José Padilha che vinse l’Orso d’Oro a Berlino dieci anni fa con Tropa de elite), un documentario autobiografico intitolato Eldorado dell’ultrasettantenne regista svizzero Markus Imhoof (autore del celebre La barca è piena che fu Orso d’Argento nel 1981), ambientato negli anni ’40; un film del regista irlandese Lancy Daly, ambientato a metà 800 (Black 47), in Irlanda appunto e infine una coproduzione intitolata Ága di un regista bulgaro (Milko Lazarov) che si era già visto a Venezia. Il film è recitato in lingua sacha, che è niente meno che la lingua della Jacuzia!

Qualche ulteriore segnalazione in merito alle altre sezioni, cominciando dall’Italia che è presente come non accadeva da tempo. Oltre a co-produrre (Palomar, Roma) l’esordio alla regia di Rupert Everett, una trasposizione di The Happy Prince di Oscar Wilde (nella sezione Berlinale Special) e il terzo film del regista di origine iraniana Babak Jalali (RaiCinema), intitolato Land (nella sezione Panorama), oltre a esser rappresentata in concorso da Laura Bispuri, l’Italia è presente con altri tre film a Berlino: il più atteso è il film d’esordio dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo intitolato La terra dell’abbastanza, il fatto che la potente casa di distribuzione tedesca “The Match Factory” lo abbia preso sotto la propria ala induce a pensar bene; nella sezione “Kulinarisches Kino” si trova il documentario Lorello e Brunello di Jacopo Quadri, già visto al Festival di Torino, storia di due agricoltori e allevatori gemelli nella Toscana del Sud; e infine nella sezione “Generazione Kplus” è stato accolto il cortometraggio (14’) del giovane Gregorio Franchetti intitolato Cena d’aragoste.

In “Berlinale Special”, oltre al film di Everett, suscitano qualche aspettativa la trasposizione del romanzo di Penelope Fitzgerald The Bookshop con la regia di Isabel Coixet, tre documentari musicali dedicati rispettivamente a Ryuchi Sakamoto, a Ed Sheeran e al musicista aborigeno recentemente scomparso Geoffrey Gurrumul e due film sulla memoria, uno ambientato in DDR (Das schweigende Klassenzimmer di Lars Kraume, l’autore de Lo Stato contro Fritz Bauer) e l’altro in Slovacchia (The Interpreter, con attori il celeberrimo regista Jiri Menzel e Peter Simonischek, il padre-clown-gorilla di Vi presento Toni Erdmann).

In Panorama sono ospitati 47 film equamente divisi fra film di finzione e documentari. Fra quelli che si annunciano più interessanti, a parte il film dei gemelli D’Innocenzo, meritano una menzione sul fronte della fiction un thriller esistenziale di Kim-Ki-Duk (Human, Space, Time and Human), la dilogia svizzera Ondes de choc, su casi di criminalità giovanile, ma sicuramente, come ogni anno ci saranno scoperte da fare con film provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est (film ungheresi, georgiani, rumeni, ucraini) e dal Sudamerica (Argentina e Brasile avanti a tutti). Nella sezione dedicata ai documentari sono ospitati molti film sulla memoria nazionale e sulle emergenze migranti: dal Brasile alla Spagna, dalla Bulgaria alla ex-Jugoslavia.

“Forum” ospita più di quaranta film, fra i quali salta subito agli occhi l’ultimo documentario di Sergei Loznitsa sul memorial sovietico di Treptower Park a Berlino (Victory Day), e un documentario di Ruth Beckermann (che l’anno scorso aveva “filmato” il carteggio fra Ingeborg Bachmann e Paul Celan) su Kurt Waldheim.

La retrospettiva è dedicata alla riscoperta di film apparentemente minori e poco visti del cinema di Weimar, una ventina di film in tutto che, da soli, meriterebbero una visita a Berlino. L’omaggio è dedicato al vincitore dell’Orso alla Carriera, l’attore William Dafoe, di cui vengono proiettati dieci film, da Vivere e morire a Los Angeles (1985) fino a Pasolini (2014).


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