PRESENTAZIONE UFFICIALE - 60. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA
Roma, 31 luglio. Italiani si diventa, per forza. Nella conferenza stampa di presentaione alla 60a edizione del festival, Moritz de Hadeln sottolinea più volte quello che Venezia dovrebbe diventare. La formula è, solo il mercato può salvare la mostra, o, detto con un simpatico paradosso che Sgarbi andava ripetendo lo scorso anno nelle stesse sale dell’Hotel Excelsior, dove anche quest’anno il programma della mostra è stato (pseudo)pomposamente ufficializzato: il cinema è un’arte commerciale ma se io vado alla mostra di Venezia potrei acquistare il Palazzo del Cinema ma non un film. de Hadeln lo spiega conti in tasca, per fare il mercato ci vogliono gli spazi, che ci sarebbero pure, nella zona dell’aeroporto Nicelli, ma il preventivo di ristrutturazione è di dieci milioni di eurini che non ci sono. Forse è colpa degli insegnanti, beneficiati qust’anno dello storico aumento di “equiparazione europea”... Ma veniamo all’esistente: il Palagalileo avrà quest’anno uno schermo più largo di quattro metri per vedere un concorso dal quale è rilevabile una riflessione sulla contemporaneità e sul recente passato. Quello nostro in particolare: Bellocchio - speriamolo fluido come ne L’ora di religione - sul caso Moro (Buongiorno, notte); Benvenuti su Portella della Ginestra; Edoardo Winspeare (già sangue vivo e Pizzicata), sul delirio collettivo del miracolo. Non c’è un americano in questo concorso. Il commento è a metà tra la volontà di dare spazio alle cinematografie europee e la realtà in base alla quale le grosse produzioni lanciano i film più avanti, ai piedi dello zio Oscar. Il resto è un equilibrio geografico tra est europa e oriente più la rappresentanza fissa, il partito, Kitano-De Oliveira. L’età è media, visti i ritorni di Doillon e Margarethe von Trotta. Tanto vince Winterbottom perché lui vince tutto dappertutto. E’ una battuta naturalmente ma - legge sportiva - qualunque sia il grado dei competitori si può sempre creare un po’ di bagarre all’arrivo e invece negli ultimi anni la mostra non ha visto un fotofinish ma solo traguardi scialbi senza braccia alzate. Tale perdita è stata imputata alla separazione di concorsi: la sezione Controcorrente (che ha per fuori concorso Greenway), dove Close-Up lo scorso anno aveva riconosciuto grandi cose (Public Toilet, A Snake of June) in mezzo a ‘cosine’. Ci si chiede, è giusto fare del parlamentarismo anche alla mostra di Venezia? Anche in questa sezione non mancano gli italiani, e questo è senz’altro buon segno, con Ciprì-Maresco, e, strano a dirsi, Gianluca Maria Tavarelli. Ma ci sono anche, tra gli altri, la giovane Coppola, Sofia, John Sayles (Pesaro gli ha dedicato una retrospettiva), una co-regia di Trier insieme a Jørgen Leth e il buon Payami. Fuori concorso i belloni Agnés Varda, Bertolucci, i Coen, Ivory, Rodriguez, Scott, l’apripista Allen e per i gridolini, gli ospiti Caterina Z e George Campari.
Della sezione Controcorrente da cui si attendono quelle chicche che l’anno scorso in alcuni casi erano state cacche - ma capita, in un calderone che scoppia di formati, storie e non storie - si parlerà a conti fatti, dopo aver aperto lo scatolone chiuso. Compresi nei 143 film (86 lunghi) della rassegna, le otto opere prime della La settimana della critica. Dalle descrizioni fatte si potrebbe puntare su Fifteen di Royston Tan. Infine, tra le sezioni collaterali, i film dei grandi produttori italiani dal bel titolo Prototipi industriali con premio annesso a Dino De Laurentis, il quale condirà sicuramente qualcuno con la sua salacia in fiero accento campano. Di sicuro lui sa come si potrebbe organizzare a Venezia un business.
[31 Luglio 2003]