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Prossima fermata Fruitvale Station

Pubblicato il 13 marzo 2014 da Alessandro Boni
VOTO:


Prossima fermata Fruitvale Station

Un esordio alla regia cinematografica decisamente importante quello di Ryan Coogler, ventottenne californiano che ha sceneggiato e diretto Prossima fermata Fruitvale Station: ne è solida testimonianza, del resto, il fatto che questa pellicola indipendente, prodotta da Forest Whitaker, sia riuscita a raccogliere significativi riconoscimenti, come il primo premio, sia della giuria che del pubblico, al Sundance Film Festival nonché quello come miglior film di debutto al Festival di Cannes ed agli Indipendent Spirit Awards. Si tratta, in effetti, di un lavoro che trasuda passione e partecipazione da parte dell’autore, che ha voluto raccontare una vicenda vera, di abuso di potere e di sotterranea intolleranza razziale, avvenuta in un contesto urbano e sociale a cui lui stesso si sente molto vicino; pur soffermandosi spesso su piccoli episodi di vita quotidiana e concentrandosi a delineare i contorni di una persona comune - con tante debolezze ma anche la ferma volontà di migliorarsi - il film riesce comunque a coinvolgere emotivamente lo spettatore, ad immergerlo completamente in una realtà di cui spaventa la letale normalità. Una piccola perla di un talento emergente, di cui sarà interessante seguire l’evoluzione.

La pellicola ripercorre l’ultima giornata di vita di Oscar Grant, ventiduenne di colore di San Francisco che, già padre di una bambina, sta cercando di trovare un lavoro pulito, dopo aver sperimentato il carcere per spaccio di droghe leggere. Per chi cerca di rimettersi in carreggiata, la strada è però irta di ostacoli ed il rischio di mettersi nei guai è sempre dietro l’angolo. E’ proprio per evitare potenziali problemi, magari dovuti a qualche bicchierino di troppo, che la madre di Oscar lo prega di non prendere l’auto e di utilizzare invece la metro per andare da lei a festeggiare il Capodanno 2009; durante il viaggio di ritorno, però, nel vagone scoppia un tafferuglio e, presso la stazione di Fruitvale, il giovane viene fermato dalla polizia insieme ad altri ragazzi di colore. Un colpo di pistola “sfuggito” ad un poliziotto pone poco dopo fine alla vita di Oscar, con decine di cellulari che riprendono quei concitati momenti; i filmati, diffusi rapidamente attraverso Internet e televisioni, hanno un effetto esplosivo, scuotendo l’opinione pubblica e suscitando profonda rabbia verso le forze dell’ordine.

E’ piuttosto probabile che, nello scrivere la sceneggiatura, Ryan Coogler si sia fatto influenzare da un certo sentimento di simpatia umana e di “contiguità” sociale col protagonista della triste vicenda; ne emerge infatti un ritratto forse un po’ troppo intriso di positività, in cui il desiderio di riscatto di Oscar Grant, il suo spirito solidale e il suo forte senso di responsabilità verso la famiglia prevalgono nettamente sui suoi difetti e su passati comportamenti non sempre irreprensibili. Il problema, tuttavia, è molto marginale perché al cinema ciò che conta veramente è come una storia, vera o romanzata che sia, viene messa in scena e quanto si rivela forte l’impatto visivo ed emotivo sul pubblico. Sotto questi aspetti i riscontri sono oltremodo positivi, poiché Coogler usa la macchina da presa come un bisturi per entrare nell’intimità del protagonista, rendendo gli spettatori pienamente partecipi del suo modo di essere, delle sue pulsioni, delle sue attese, dei suoi dilemmi morali. Pur rappresentando momenti di banale quotidianità, il regista riesce ad immergere il personaggio in un’atmosfera di tragica ineluttabilità, in cui il pathos drammatico viene ancor più alimentato dal manifestarsi beffardo del Fato; sul cammino di Oscar vengono ad aprirsi, infatti, varie “sliding doors”, come la scelta della metro invece dell’auto per compiacere una mamma preoccupata, ad esempio, oppure come la decisione di fermarsi per soccorrere un cane ferito, con la conseguenza di perdere la corsa precedente a quella fatale.

L’elevata qualità di Prossima fermata Fruitvale Station è ben corroborata peraltro anche dalla valida interpretazione di Michael B. Jordan, visto recentemente in Chronicle; l’attore dona credibilità e spessore al suo Oscar Grant e riesce a rappresentare con classe e sensibilità il complesso di emozioni che animano il suo personaggio, spesso in intimo conflitto tra tenerezza ed indignazione, tra ragionevolezza e frustrazione. Con un protagonista così ben caratterizzato - che attira un senso d’empatia nel pubblico - il film centra peraltro anche l’obiettivo di far scaturire genuino sdegno e compassione sulle assurde circostanze della sua fine; senza “alzare la voce”, quindi, Coogler riesce ad elevare con grande efficacia una denuncia forte sul latente razzismo ancora presente nella società americana, spesso correlato a forme di abuso di potere da parte della polizia.
Un bell’esempio di cinema d’impegno civile, che fa pensare, che fa emozionare, che fa indignare; niente male per un film a basso budget di un esordiente.


CAST & CREDITS

(Fruitvale Station) Regia: Ryan Coogler; sceneggiatura: Ryan Coogler; fotografia: Rachel Morrison; montaggio: Claudia Castello, Michael P. Shawver; musica: Ludwig Goransson; scenografia: Hannah Beachler; interpreti: Michael B. Jordan, Melonie Diaz, Octavia Spencer; produzione: Forest Whitaker’s Significant Productions, OG Project; distribuzione: Wider; origine: Usa; durata: 85’.


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