Prova a volare

La definizione di fotoromanzo animato calza davvero a pennello su un film come Prova a volare. La pellicola in questione (opera prima di Lorenzo Cicconi Massi che lascia momentaneamente la sua vocazione più vera: quella di fotografo), in effetti non è altro che questo: lo sfogliarsi di una storia da vecchio rotocalco rosa cui è stato aggiunto, tra una fotografia e l’altra, tra una didascalia e quella immediatamente successiva, la magia baracconesca del movimento tipica del cinema.
I problemi di questo prodotto, ultimato quasi quattro anni fa, ma distribuito nelle sale solo ora per sfruttare l’onda lunga del successo divistico di Scamarcio (ma già gli esiti al botteghino di un film come Mio fratello è figlio unico avrebbero dovuto far capire ai distributori che siamo ormai più dalle parti di una risacca con l’acqua che torna mestamente a quel mare da cui era venuta con L’uomo perfetto e, più ancora, Ho voglia di te) riguardano principalmente la coerenza interna e il senso di progressione del racconto e delle psicologie dei personaggi.
A prescindere dai palesi problemi tecnici (suono metallico, doppiaggio ai limiti del dilettantesco e palesemente fuori sincrono rispetto al labiale degli attori, montaggio sin troppo lineare) quello che maggiormente stona in Prova a volare è proprio la sua palese incapacità a gestire i tempi di una narrazione che non ha, oltretutto, altra ambizione che quella di seguire le coordinate di un racconto giovanilistico stereotipato e prevedibile.
Non c’è senso di sviluppo nel racconto. Tutto avanza sulla base di sequenze isolate spesso del tutto incoerenti tra loro. E anche il dipanarsi della storia d’amore tra i due personaggi principali avanza in maniera farraginosa, incoerente, incerta proprio come nei piccoli fotoromanzetti che gli adolescenti si sorbiscono nelle riviste loro dedicate.
Alcune scene sono, infatti, palesemente monche: il montaggio le tronca bruscamente senza un motivo (succede quando Anna, l’amica del cuore e complice della fuga della protagonista, esce fuori in veranda con la madre e sembra sul punto di dire qualcosa di importantissimo che viene negato alla pazienza dello spettatore). Altre volte non si capisce bene il senso di alcune scelte. Come nella presumibile notte di sesso tra i due romantici fuggiaschi (scena volutamente censurata dal piano del racconto in vista di una possibile destinazione televisiva del film) che “accade” così, nel vuoto tra un “prima” che non ce la prepara (che lui sia platonicamente innamorato è palese, ma lei quand’è che si accorge di provare qualcosa per lui?) ed un “dopo” in cui sembra non sia mai accaduta (riprendono i battibecchi dell’inizio senza quel minimo di complicità che sarebbe naturale dopo una notte d’amore). Colpa, questa, non solo di una scarsa direzione di attori che sembrano spesso non avere un’idea precisa delle motivazioni dei loro personaggi e dei successivi sviluppi dell’intreccio (e quelli meno belli di Scamarcio sono ricaduti comprensibilmente nel limbo televisivo), ma anche di pesanti buchi di sceneggiatura che neanche una regia attenta al dettaglio realistico (sono, in fondo, belli gli ambienti del film e “giusti” gli obiettivi coi quali vengono ripresi) riescono a riempire davvero.
A conti fatti quello che realmente manca a questo film d’esordio (come, del resto, a molte opere prime della nostra sempre più asfittica industria) è una motivazione forte. Quello che abbiamo di fronte sembra essere, da questo punto di vista, niente più che un film senza un “perché”, privo di quella bruciante voglia di dire e di mettersi in discussione che dovrebbe essere la molla che muove un autore a produrre qualcosa. In questo modo anche temi che potrebbero essere forti ed importanti (il rapporto genitori figli con le doppie coppie Scamarcio-Catania e Fantastichini-Mastronardi, ma anche la riscoperta di un senso di famiglia sia pure allargata) si sfumano prima che l’idea divenga testo e tutto quel che resta sullo schermo è niente più che lettera morta. E venendo a mancare anche quell’aura di ironica canaglieria che in fondo salvava un film come Ma che ci faccio qui? (altra uscita estiva di un autor giovane) non resta altro che l’impressione di un’opera che si prende troppo sul serio senza averne davvero i mezzi. Sarà per questo il film sfugge al ridicolo involontario tutte le volte che abbandona la storia e si concentra sui dettagli o sull’accessorio (i bei paesaggi affogati nella luce, ma anche episodi divertiti come quello in cui Scamarcio alita sull’obiettivo della sua telecamera perché non trova il filtro per un bel flou).
Insomma un film che potrà piacere solo alle scamarcine più agguerrite e che è meglio vedere in compagnia di un buon amico o di un parente perché, a vederlo da soli, deve essere, malgrado l’eccezionale brevità, di una noia sfiancante.
(Prova a volare); Regia: Lorenzo Cicconi Massi; sceneggiatura: Lorenzo Cicconi Massi, Andrea Leoni, Tamara Alessi; fotografia: Massimo Lupi; montaggio: Carlo Fontana; musica: Roberto Mazzanti; interpreti: Riccardo Scamarcio (Alessandro), Alessandra Mastronardi (Gloria), Antonio Catania (Tonino), Ennio Fantastichini (Pietro); produzione e distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia, 2004/2007; durata: 93’; webinfo: Sito ufficiale
