Questo piccolo grande amore
Opere come Questo piccolo grande amore mettono in crisi il recensore come poche altre cose al mondo. Pur giunti infatti alla fase del tentato contraltare (Albakiara) nonché a quella della parodia (Ti Stramo) del film romantico adolescenziale che impazza sui nostri schermi da qualche anno a questa parte, questo genere continua a riprodursi, senza il timore o solo la preoccupazione di ripetersi ogni volta, e ogni volta diventare oggetto dello medesima valutazione.
A volte si è tentati di sentirsi vecchi babbioni a poco più di un lustro dai vent’anni, irrimediabilmente al di fuori da universi che in realtà dovrebbero esserci prossimi: insomma, può essere che da parte nostra sia necessario uno sforzo sovrumano per capire la ragione secondo la quale un film come Questo piccolo grande amore dovrebbe quantomeno saper emozionare, quando invece oltre che a vivere su cliché antichi come il Big Bang non riesce a contare nemmeno su una scrittura o una regia che ne salvi gli esiti sotto altri aspetti? Forse ancora una volta il problema proprio non è nostro, ma del film, e per spiegarci meglio urge forse una breve carrellata sulla trama (costruita interpretando pressoché alla lettera i testi del concept album di Claudio Baglioni “Questo piccolo grande amore” del 1972).
Roma, sempre Roma, quasi altrove non fosse possibile tra i sessi socializzare: è il 1971, e, come in ogni anno dei Settanta che si rispetti, vuoi che non si trovi una manifestazione a Piazza del Popolo? Da questa si fugge Andrea (marchiato a fuoco in quanto studente d’architettura a Valle Giulia), rincorso dai cattivissimi cellerini, che rifugiandosi in un bar incontra Giulia, ragazzetta di buona famiglia dallo sguardo pulito, che in pochi istanti lo distoglie da qualsiasi prurito rivoluzionario. E così via... Alla voce “Questo piccolo grande amore” su Wikipedia basta scorrere ordinatamente i titoli di tutti i brani dell’album, e facendo un minimo sforzo di fantasia si può immaginare tutto il film, fino all’inatteso epilogo: la rimorchiata, la scuola, i quartieri alti, Centocelle, fare l’amore giù al faro (perché, guarda un po’ il governo ladro, in spiaggia inizia sempre a piovere all’improvviso), lui che parte militare, la maturità – e il pericoloso intreccio con pianoforti sulle spalle-. Ci si concedano queste briciole d’ironia, nella serena ammissione che l’opera del critico sta sempre un passo indietro rispetto a quella di chi ha la creanza di mettere le mani in pasta: ma non possiamo non sottolineare ancora una volta che il problema di una tale pellicola non sta forse neanche nella trama, che avrebbe potuto benissimo riuscire come una delicata e pura storia d’amore adolescenziale e di tutte le scaramucce a seguito, com’è potuta esistere negli anni Settanta e come speriamo esisterà sempre. Il problema serio, in quanto davvero problema sociale, che tocca largamente la cultura, nel modo di crearla, apprenderla e diffonderla, è la banalizzazione imperante e sconfortante alla quale ormai ogni media sta lentamente abituandoci, e che nel film in questione trasuda da ogni scena; senza neanche il conforto di abbandonarsi all’irrealtà da parte dei creatori della pellicola, dato che costoro asseriscono di non aver voluto sin dall’inizio né un musical né un musicarello, per l’evidente paradossale timore di realizzare un prodotto troppo ingenuo - e dunque poco attraente per il pubblico giovanile. Ogni personaggio, ogni situazione sembrano usciti da un fotoromanzo, come ogni battuta sui sentimenti è scritta e recitata a livelli minimi, quasi si fosse deciso a priori, irrispettosamente, che la massa informe di innamorati di qualsiasi età, del pubblico di qualsiasi età, non sia in grado di capire un pelino di più di quanto gli viene proposto, o peggio, che la semplicità unica dell’amore non possa essere celebrata con maggiore finezza.
D’altronde Carlo Rossella, presidente della Medusa, presente in conferenza stampa per pochi minuti, ha fatto in tempo a dire che il film è un regalo che gli innamorati dovrebbero fare alle innamorate, che è per San Valentino e che è proprio una bella cosa per tutti. Insomma, se la proposta è tutta qui, perché sprecare altre parole?
(Questo piccolo grande amore); Regia: Riccardo Donna; sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Claudio Baglioni; fotografia: Federico Shlatter; montaggio: Fabrizio Rossetti; musica: Claudio Baglioni; interpreti: Emanuele Bosi, Mary Petruolo; produzione: 11 Marzo Film, Aurora Film, Medusa Film in collaborazione con Sky e Film Commission Torino Piemonte; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia, 2009; durata: 110’.