Radio Eto’opia

Ethiopia, def.: sindrome del sentirsi fuori dal contesto, estranei, come pesci fuori dall’acqua, trasfigurazione, straniamento. Il termine sembra derivi dal film E.T. di Spielberg. Tra i sinonimi ci sono: Mal d’Africa, Saudade e Blues, tutti musicalmente collegati; e in realtà il termine risale al secondo disco del Patti Smith Group, 1976: Radio Ethiopia, ed è uno dei riferimenti primi veramente credibili sulla vita nell’Africa del post-colonialismo e sulla sua completa estraneità al nostro mondo così come siamo abituati a vivercelo addosso ogni giorno. Il suo significato artistico è la distanza, ed è in netto contrasto con quello espresso dall’arte figurativa tra Otto e Novecento che del continente africano integrava abitudini creative come esclusive novità rifiutando però ogni altro tipo di coinvolgimento. Radio Ethiopia infatti non integra assolutamente niente dal continente africano facendoci vedere quanto bella possa essere la creatività locale rifiutando il resto, ma ci fa invece capire quanto distante e molte volte ancora troppo aliena sia quella realtà rispetto alla nostra. Nella stessa misura in cui Stanislavskij, mutando semplicemente il colore dei gesti di scena e mantenendo intatte le parole del testo, introdusse la prima trasfigurazione artistica contemporanea facendo dei Ciliegi di Checov una cruda e patetica (in senso anche qui musicale) realtà da una brillante commedia borghese che era. Il disco è poi di per se stesso un omaggio a Rimbaud e Brancusi. Il primo lo si conosce di già molto bene, e tra l’altro ha mollato tutto per intrattenere rapporti commerciali proprio con l’Africa; il secondo è un artista rumeno tra più influenti dell’arte contemporanea, nato cento anni prima della pubblicazione del disco. Del disco i brani contesi tra i solchi del vinile sono una pausa della creatività musicale in direzione di una libertà espressiva rauca, non sufficientemente sostenuta, fioca, e molte volte indecifrabile. Il suo essere indeciso tra un pop di maniera, comunque aggressivo e tipico del gruppo, e una ricerca oltre confine, anche questo perfettamente nei canoni musicali del combo newyorkese, se rende molte volte inaccettabile il discorso nel suo complesso, o forse indecifrabile o incomprensibile visto in prospettiva tra il primo e il terzo loro lavoro, diventa l’esatta dicitura di quello che è, era, la vita africana al termine degli anni settanta: un controsenso per l’epoca, un nuovo senso e una nuova direzione per i nostri giorni. E di questo discorso inoltre l’interesse è tutto nella possibilità di attribuire al continente africano la possibilità di riconoscerlo e di valorizzarlo, non più di rispettarlo e basta. Ma se Radio Ethiopia è una particolarità, una singolarità riuscita in musica a seconda dei gusti, se l’Ethiopia non è il Cameroon, e se La vita è altrove e l’altrove è in questo caso la distropica distopia musicale del secondo disco di Patti Smith, l’extraterrestre è esistito sul serio, Samuel Eto’o, uno che individualmente non ha mai vinto molto e probabilmente lui da solo non è nemmeno mai stato il più bravo, ma che negli ultimi anni ha contribuito, uno dopo l’altro con due squadre diverse, al conseguimento del miglior risultato calcistico al termine della stagione agonistica. Dovrebbero infine esserci prima Cantona e Beckham, e iniziative cinematografiche collaterali varie, che in qualche modo sono un solo unico e ininterrotto discorso, Ibrahimovic, ma per altre analoghe letture si rimanda al film: Zidane: A 21st Century Portarit, con l’unica differenza che Zidane probabilmente è davvero il migliore (E.T. per la ricorrenza del trentesimo anniversario è stato recentemente riproposto nelle sale cinematografiche).
