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Regression

Pubblicato il 4 dicembre 2015 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Regression

Alejandro Amenábar, nato in Cile ma di nazionalità spagnola, ha realizzato in quasi vent’anni solo sei film: un horror campione d’incassi in patria che superò perfino Titanic, un eccellente thriller psicologico oggetto di un altrettanto riuscito remake hollywoodiano, un altro horror con una star internazionale, Nicole Kidman, che lo ha rivelato alle platee di tutto il mondo, un fulminante mélo sull’eutanasia che vinse l’Oscar per il film straniero, un biopic ispirato alla vita dell’antica paladina della laicità, ed ora un altro horror (gli altri titoli, nell’ordine, sono Tesis, Apri gli occhi – e Vanilla Sky il suo remake USA - , The Others, Mare dentro, Agorà) che, dopo un’assenza di sei anni dal grande schermo, lo ritrova a maneggiare un genere evidentemente a lui molto caro, stavolta, tuttavia con risultati che potrebbero lasciar delusi parecchi dei suoi affezionatissimi fans. Vittima forse della propria stessa cinefilia, che non ha dimostrato di saper dominare con oggettivo distacco, Amenábar ha infatti confezionato un film dalle ambizioni non tutte compiutamente raggiunte. La carne in tavola è molta, ed altrettanto efficace risulta la messa in scena che affonda a piene mani nel repertorio dei cliché dei film “di paura”, in particolare quelli della grande stagione dell’horror statunitense degli anni ’70 (vera epoca d’oro del genere, se si pensa al primo, unico e vero Non aprite quella porta di Tobe Hooper, i film di Romero, i primi passi cinematografici di John Carpenter…), e basterebbe questo, in fondo, per uscire soddisfatti dalla proiezione. Tuttavia, dovendolo considerare come prodotto per un pubblico come quello dei suoi film precedenti, o comunque attratto dalle livide luci e dai forti contrasti della locandina, non si può certo dire che sazierà appieno la sacrosanta fame di horror stimolata dalla lettura della trama nei tamburini dei giornali. Eppure Ethan Hawke ce la mette tutta nel calarsi nei panni di un tormentato investigatore di un oscuro e provincialissimo Minnesota (ma il film è stato girato in Ontario), coinvolto nella risoluzione di un episodio di quello che in apparenza sembrerebbe un caso di incestuosa pedofilia sullo sfondo di una torbida vicenda di bigotteria religiosa e satanismo: vittima presunta di un padre che confessa gli abusi senza tuttavia conservarne alcun ricordo (un ottimo David Dencik) è un’Emma Watson (24 anni compiuti sul set il primo giorno delle riprese) che in molti hanno trovato fuori parte per l’unica sua colpa di essere un volto troppo noto e abbinato a ruoli che faticherà a scrollarsi via. Tra tutti, il personaggio più felicemente disegnato è forse lo psichiatra esperto di ipnosi (i fatti narrati sono datati negli anni ’90 del secolo scorso, quando per un breve periodo si dette parecchio credito a questo genere di terapie) interpretato da un più che convinto David Thewlis. Ma il tentativo di sedurre con indizi e trappole lo spettatore promettendogli chissà quale soluzione finale, si affloscia per colpa di ingredienti poco saporiti e inefficaci che se da un lato denunciano le intenzioni di Amenábar di mantenersi entro i confini di un’eleganza formale e stilisticamente estranea allo splatter (quanto avrebbe invece giovato una manciatina di paprika in salsa di pomodoro qua e là!...), suggeriscono nel titolo del film una “regressione” dell’autore non tanto al periodo dei suoi horror iniziali e ben più riusciti, quanto a un impoverimento dei suoi mezzi espressivi e della sua fantasia immaginifica cui si spera ponga rimedio nei suoi lavori futuri.


CAST & CREDITS

(Regression); Regia: Alejandro Amenábar; sceneggiatura: Alejandro Amenábar; fotografia: Daniel Aranyó; montaggio: Carolina Martínez Urbina; musica: Roque Baños; interpreti: Ethan Hawke, Emma Watson, David Thewlis; produzione: Mod Producciones, First Generation Films, Himenóptero, Telefonica Studios; distribuzione: Adler Entertainment; origine: Canada/Spagna, 2015; durata: 106’


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