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Rent a Family Inc: un mondo lontano ma non troppo

Pubblicato il 19 febbraio 2014 da Giammario Di Risio


Rent a Family Inc: un mondo lontano ma non troppo

Hello, Ichinokawa is speaking. Sin dall’inizio c’è chiaro che sarà Lui a raccontarci una storia originale quanto spiazzante per alcuni, anzi molti aspetti. Ryuichi Ichinokawa è un giapponese di mezz’età abbastanza alto, elegante nel suo modo di incedere, con gli occhi grandi, il viso ovale , in cui vanno a sistemarsi gli occhiali da vista, la mascella pronunciata e un’espressività che diventa manifesto di tutta la sua esistenza. Il nostro è entrato, nel corso della sua vita professionale, in un business lontano dalla griglia di pensiero di un essere umano occidentale: affittare ai suoi clienti l’affetto di un essere umano. Siamo a Tokyo e i rapporti sociali tra le persone vivono distorsioni divenute regola, modo di fare comune, altrimenti non si potrebbe spiegare il motivo per cui Ichinokawa ogni giorno si premura di trovare finti padri, fidanzate, amici per i suoi clienti. Immerso in una quotidianità standardizzata, quest’uomo liturgicamente diventa il tramite, il mezzo per alleviare la profonda paura, sofferenza, solitudine di un’umanità che sembrerebbe aver perduto l’urgenza di relazioni autentiche. Siamo dentro un microcosmo che si autoalimenta mediante il silenzio di una casa, attraverso gli schermi al plasma dei telefonini che rimbalzano colori in contrasto con il grigiore della vita reale e in tutto questo, normalmente, i clienti chiamano sul telefonino il protagonista per affittare un corpo che metta in scena affetto, emozioni.

Il meccanismo si fa ancora più interessante quando scopriamo che, in realtà, è lo stesso Ichinokawa a essere la prima vittima di tale status quo: non solo mezzo, di fatto anche testamento visivo di una condizione generale. Nella sua famiglia la comunicazione non esiste, infatti la moglie ignora il suo lavoro e con i figli il dialogo fa capolino solo a tavola, tra l’altro uno dei due giovincelli lo ha scalzato dal lettone grande per relegarlo, a mò di baco da seta, in un lettino sul pavimento; La routine di Ichinokawa potrebbe essere la stessa dei suoi clienti e durante l’ora di documentario entriamo lentamente nel suo trauma.

Per entrarci, il bravo documentarista danese Kaspar Astrup Schröder, già in passato affascinato da personaggi giapponesi, non ci lesina un’impostazione di linguaggio cosciente quanto discreta, rispettosa della cultura e del mondo con cui si sta interfacciando. Sia che si tratti di macchina a mano, nelle scene in cui il protagonista fluttua nel mondo, dalla metropolitana alla vestizione prima di uscire, sia che si tratti di macchina fissa, con il volto stupito quanto pensieroso, ecco che veniamo investiti della professione di testimoni che debbono per forza di cose riflettere. Diventiamo i testimoni dei sospiri, ciclici e ripetuti, di Ichinokawa, della sua urgenza di comunicazione che ha pieno sfogo solo nel dialogo con il suo cagnolino Chappi, che a volte diventa, con le sue zampette piccole, l’unico detonatore di suoni all’interno della casa. Il ritmo viene fornito, specialmente nella prima mezz’ora di narrazione, dai vari clienti che si alternano, il cui volto viene sempre opacizzato, così da incastonare nella nostra mente solo il viso ovale del protagonista. La studiata alternanza di spazi, dalla casa alla macchina, dalla metropolitana alla strada del quartiere di uno dei tanti sobborghi di Tokyo, fortifica il patto che instauriamo con Ichinokawa e spesso ci ritroviamo anche noi seduti davanti al suo computer, nel totale silenzio, mentre ci racconta di se stesso: finalmente! Schröder più volte aggiunge all’opacità anche il fuori fuoco, con sagome che puntellano lo spazio e sembrerebbero sul punto di liquefarsi. Quando poi la tensione drammaturgica sale di livello, come quando il nostro ci dichiara di pensare quotidianamente al suicidio per i soldi dell’assicurazione che arriverebbero ai figli, ecco che il p.p. di quest’uomo fiero ci prende per mano.

Trattasi esclusivamente di disperazione? Siamo testimoni di un mondo in totale sfilacciamento? È questo il preludio angosciante di una società in fin di vita? Assolutamente no! In questo il regista danese è molto attento a non giudicare, viceversa rappresentare ciò che c’è, ciò che è! E se noi occidentali pensassimo, vedendo questo documentario, di vivere in un mondo totalmente distante, allora potremmo sbagliarci di grosso. I rapporti interpersonali iniziano a cedere, vendendosi alla solitudine e alla non comunicazione, anche sulle nostre isole e quest’opera finalmente ci concede la possibilità di guardare anche in casa nostra.

Rent a Family Inc è in concorso nella sezione internazionale della seconda edizione de “Il Mese del Documentario”.

Per info:

http://ilmese2013.documentaristi.it

https://www.facebook.com/ilmesedel....


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