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Resident Evil: Retribution 3D

Pubblicato il 29 settembre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Resident Evil: Retribution 3D

Spazio e Tempo implodono definitivamente in Resident Evil: Retribution.
Non che prima essi non fossero trattati in modo stranamente elastico con tutti i ralenti e le ellissi che costellavano, come strane voglie, il corpo filmico; ma prima le infrazioni alla linearità si esaurivano nello spazio della bella forma e dell’esibizione del virtuosismo più puro. Soprattutto erano espressione di un déjà vu ben sedimentato: quello di certo cinema fumettistico di stampo orientale alla John Woo. Erano, a dirla tutta, il momento in cui l’azione veniva sospesa per far largo alla pulizia della coreografia: il tempo sfiorava la dimensione della sospensione per permettere una più aperta magnificazione dello spazio tutto astratto dell’inquadratura.

Nei quattro capitoli precedenti della serie, in realtà, Tempo e Spazio, categorie in perenne attrito e spinte avanti dal costante motore a scoppio dell’Azione, si muovevano come una coppia di valori inversamente proporzionali. Quanto più piccolo era lo spazio, tanto più facilmente il tempo poteva essere dilatato, esteso, condizionato alla dinamica del balletto astratto di corpi improvvisamente dotati di aerea, splendente leggerezza.
Su spazi vasti, viceversa, a trionfare era, col campo lungo o lunghissimo, la dinamica di un’azione sospesa (la ricerca) e di un tempo disteso, ripetitivo, dominato, quasi, da lenti scivolamenti in continua dissolvenza reciproca.
Nei quattro film precedenti il corpo cinema sembrava opporre una più strenua resistenza al virus inoculato del videogioco e delle sue dinamiche. L’Azione si condensava su un’unità aristotelica semplice e lineare e Tempo e Spazio si agglomeravano nell’intervallarsi costante di combattimenti e piccole oasi esplicative il cui scopo era basilare: fornire lo spettatore del minimo di competenze necessarie a decifrare il dipanarsi degli eventi. O poco più di questo.
Il videogioco, insomma, forniva il film di personaggi e situazioni (semplici armi da impugnare alla bisogna), ma il film, a sua volta, continuava a sognarsi come struttura autonoma, che rimarcava ad ogni passo la sua libertà dalle regole ferree del gioco stesso.

Resident evil: Retribution è diverso! Diverso sin nell’esordio in slow rewind, con l’azione che, rimandata qui dallo stretto epilogo dell’episodio precedente, sembra quasi riluttante a condensarsi in storia.
All’avanzare innaturale del racconto, che ci riporta in situazione solo dopo averci fatto sperimentare lo stupore della forma, corrisponde una ricodifica dello statuto del narrare. L’azione scende in secondo piano, rispetto alla rimodulazione di Tempo e Spazio e, mentre il primo viene innaturalmente riportato al punto di origine (la sequenza di sutura tra questo e l’episodio precedente), il secondo mantiene inalterate le coordinate classiche di una normale scena d’azione divisa tra primi piani e totale. Solo una volta che la sutura è stata raggiunta il tempo può riprendere a scorrere in modo tradizionale e senza più neanche bisogno del ralenti dal momento che la riproposizione della scena è per lo spettatore un déjà vu e non abbisogna più di dilatazioni temporali per dare allo spettatore il tempo materiale di mantenere chiare le coordinate spaziali.

Azione e sua ripetizione, sia pure a tempo invertito, però, minano al fondo l’atto stesso del narrare. L’idea che l’azione possa soggiacere alle dinamiche di un loop sposta il film da logiche narrative ad assonanze musicali. Azione e personaggi non contano più niente: sono pedine di un delirio di onnipotenza visiva.
Il virus del videogioco possiede ormai il corpo filmico, lo muta dall’interno, trascodifica a sua immagine le dinamiche classiche del narrare.

Il primo a farne le spese, in misura esponenziale, è proprio lo Spazio che, seguendo le dinamiche di un videogioco strutturato a livelli e ad acquisizione di competenze, cessa di essere contenitore e diventa modulo. Se la dinamica della costruzione delle singole inquadrature non cambia più di tanto da un film all’altro, a cambiare radicalmente è la dinamica dello spazio-set.
L’ambientazione, perennemente ambigua perde le sue coordinate nello spazio tutto videoludico della Umbrella corporation che, fin dall’inizio è strutturata a vari livelli a comparti stagni staccati tra loro dagli stand by di avvio del gioco. Roma, New York, Suburbia, Madrid, Berlino, Tokyo, Mosca sono abilmente ricostruite in loco per simulazioni di guerra batteriologica e, polemicamente, per questo, di gioco.
Il passaggio da una realtà all’altra è pressoché istantaneo: la realtà vera è quella del set che simula e al tempo stesso ricompone la realtà ulteriore del mondo nel quale viviamo. L’istantaneità ci riporta alla dimensione virtuale della connessione di rete (era l’idea geniale del primo spot virale di questa serie, passato in rete con insistenza): Internet è il nuovo virus che, tenendoci al chiuso della nostra camera, ci riporta in mille luoghi diversi col semplice click del mouse.

Resident evil Retribution compie quello che Jumper aveva solo cominciato a sognare: riporta in chiave narrativa l’idea di uno spazio unico che è somma di tutti gli spazi possibili. Il passaggio da uno spazio all’altro certifica il conseguimento di un nuovo livello di gioco, spesso accompagnato dall’entrata in scena di una nuova tipologia di mostri e dall’acquisizione di un’arma di nuova foggia e livello di combattimento. Il virus del videogioco ha definitivamente preso il sopravvento.
I personaggi soccombono a questa dinamica nuova: si trasformano definitivamente in avatar che possono essere indossati dalle diverse funzioni attanziali. Buoni o cattivi a seconda della bisogna del racconto, con la sola eccezione di Alice che avanza a modo suo, scheggia impazzita e, per questo, più umana, di un immaginario videoludico.

Resident evil: Retribution è stranamente un film improvvisamente auto consapevole, talmente certo del suo incedere da potersi permettere di riflettere su se stesso ad ogni passo: dalla frantumazione del reale della stanza dei bottoni (in cui ogni finestra di dialogo contiene frammenti di deja vu), alla metareferenzialità più spinta che è strutturale e non accessorio da citazione.
Nel film tutto è quel che sembra, quindi è nulla più che immagine costruita dentro e fuori della narrazione. Non c’è separazione esperibile tra racconto e messa in scena. Il set è set, il finto cielo è finto cielo, la finta pioggia finta pioggia e le comparse sono niente più che comparse. Stunt di se stessi, replicati come cloni, moltiplicati all’infinito, ognuno con la sua ansia di racconto per lo spazio solo di una partita di appena un’ora.

Di qui la quasi coincidenza del tempo del gioco-film (due ore per chiudere la partita) con quello dello spettatore in sala. Il tempo, elasticizzato al massimo, portato indietro e manipolato come un das si chiude nell’unità della percezione dello spettatore come il moltiplicarsi degli spazi si chiude nell’unico spazio contenitore del simulatore (e, più giù ancora: della poltrona del cinema dalla quale lo spettatore guarda il film). Lì chiuso, nella solitudine della simulazione, lo spettatore può riflettersi in uno specchio di apparenze sempre più vorticoso. Forse Resident evil è meno innocuo di quanto non appaia a tutta prima.


CAST & CREDITS

(Resident Evil: Retribution); Regia e sceneggiatura: Paul W.S. Anderson; fotografia: Glen MacPherson; montaggio: Niven Howie; musica: tomandandy; interpreti: Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Sienna Guillory, Kevin Durand, Oded Fehr, Bingbing Li, Johann Urb, Shawn Roberts, Boris Kodjoe, Colin Salmon, Aryana Engineer, Robin Kasyanov, Ofilio Portillo; produzione: Impact Pictures; distribuzione: Warner Bros. Italia; origine: Germania, USA 2012; durata: 95’; webinfo: Sito ufficiale e Sito italiano


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