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Ritorno in Borgogna

Pubblicato il 20 ottobre 2017 da Valentina Holtkamp
VOTO:


Ritorno in Borgogna

Cédric Klapisch, autore di pellicole di successo come L’appartamento spagnolo e Bambole Russe, torna alla regia con un progetto che accarezzava già nel 2010, prima di girare Rompicapo a New York. Il regista torna a casa e si immerge nel calore della campagna francese, seguendo le orme del suo protagonista Jean che abbandona la sua vita in Australia per tornare alla tenuta di famiglia in Borgogna e riunirsi con il padre e i fratelli. Così Klapisch, dopo parecchi film girati in bellissime città del mondo (Parigi, Londra, San Pietroburgo, Barcellona, New York) e dedicati al rapporto tra il contesto urbano e la psicologia delle persone che lo abitano, ora sente per la prima volta la necessità di immergersi nella natura attraverso un racconto sulla vendemmia e il mutare delle stagioni, in cui il vino diventa simbolo dell’idea di trasmissione e di famiglia.
Il regista è chiaro: “per me il vino è mio padre. Conosco il vino attraverso mio padre, che praticamente non beve altro che vino della Borgogna”. Alla base del film c’è dunque una forte tensione autobiografica e forte è il legame con la terra: i tempi di lavorazione del film hanno rispettato l’alternarsi delle stagioni e il mutamento del paesaggio, seguendo i tempi di produzione del vino e il cambiamento interiore dei personaggi.
Protagonisti del film tre fratelli Jean (Pio Marmaï), Juliette (Ana Girardot) e Jérémie (François Civil), riuniti dal destino nella tenuta di famiglia in Borgogna e alle prese con importanti decisioni riguardanti il loro futuro e quello dei propri vigneti. Durante le fasi di lavorazione del vino, e dopo la morte improvvisa del padre, i tre fratelli ripercorrono i momenti fondamentali della loro infanzia cercando di ricostruire il loro rapporto.
La sceneggiatura, scritta a quattro mani con il vecchio sodale Santiago Amigorena, mostra qualche forzatura e alcuni passaggi a vuoto, alla ricerca di un pretesto per sviluppare un racconto che non sembra scaturire da una reale urgenza, ma pare piuttosto reggersi sul piacere estetizzante di mostrare i personaggi e l’ambiente entro cui si muovono. Le riprese in timelapse mostrano come cambia il paesaggio durante il ciclo delle stagioni e sono in effetti, per ammissione dello stesso regista, una delle ragioni che lo hanno spinto a girare il film, restando uno dei momenti più veri e ispirati. Ma il film sembra il più delle volte adagiarsi su di un ritmo monocorde, in cui la tensione drammatica si mantiene piatta senza particolari sbalzi e i personaggi, pur diversi nella loro caratterizzazione, tendono ad assomigliarsi tra loro; il personaggio della sorella Juliette è sicuramente il più riuscito, pur nella sua incompletezza, grazie anche all’interpretazione di Ana Girardot. Più interessante il tentativo di far convivere passato e presente, infanzia e mondo dei grandi, inserendo all’interno della stessa scena e talora della medesima inquadratura i fratelli adulti con le proiezioni di sé da bambini: come l’uva si trasforma vino, così il bambino diventato adulto prende il posto del padre nell’inevitabile alternarsi delle stagioni della vita. La sincerità dello spunto iniziale e la volontà di ritrovare se stessi nel contatto con la natura e con le proprie radici tendono a perdere di forza nello sviluppo della storia. Anche da un punto di vista visivo il film fatica a reggere sulla distanza: la bellezza delle immagini e la fascinazione per la lussureggiante campagna francese rischiano di offuscare la verità della vita reale, finendo col trasformarsi in immagini da cartolina, vedute all’interno di un set fotografico di una rivista di moda.


CAST & CREDITS

(Ce Qui Nous Lie); Regia: Cédric Klapisch; sceneggiatura: Cédric Klapisch, Santiago Amigorena; fotografia: Alexis Kavyrchine; montaggio: Anne-Sophie Bion; suono: Cyril Moisson; interpreti: Pio Marmaï, Ana Girardot, François Civil, Jean-Marc Roulot, Maria Valverde, Yamée Couture, Karidja Touré, Florence Pernel, Jean-Marie Winling, Eric Caravaca; produzione: Ce qui me meut, Studiocanal, France 2 Cinéma; origine: Francia 2017; durata: 113’


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