Riunioni di famiglia nel cinema di Vinterberg

Col suo ultimo film, Thomas Vinterberg torna a sondare i lati più problematici della famiglia, appropriandosi stavolta di un’ironia leggera e fresca del tutto assente nella dimensione più cupa e quasi catastrofica del precedente Festen che, realizzato secondo i dettami puristi del Dogma 95, lo ha reso famoso a livello internazionale già più di dieci anni fa’. E’ impossibile evitare di rileggere insieme queste due opere che, pur lontane nei toni espressivi – più densi e incisivi in Festen, più tenui e rarefatti in Riunione di famiglia – muovono però entrambi da una riflessione attorno allo stesso tema. Quelle di Vinterberg sono famiglie difficili e piene di segreti, a volte abominevoli – pedofilia e incesto sono i temi cui si fa esplicitamente riferimento in Festen – a volte semplicemente sorprendenti: in Riunione di famiglia vediamo un padre e un figlio che, ognuno all’oscuro dell’esistenza dell’altro, si incontrano per la prima volta quando il ragazzo è ormai adulto.
Se nel primo film una grande famiglia dell’alta borghesia danese si sfalda, o per meglio dire si lacera, nel dolore e nella vergogna più aberranti e totali, nel secondo assistiamo invece alla nascita una sorta di nuova famiglia: il giovane Sebastian trova un padre, e anche se forse alla sua età non ne ha più molto bisogno, e sebbene questo padre appaia da subito un uomo confuso e incostante tutto preso dal suo successo, il finale del film afferma la possibilità, e la necessità, di ricostruire, di cambiare strada, di ricominciare. E questo sta non solo nell’incontro, che peraltro avviene all’insegna di surreali equivoci tragicomici, tra padre e figlio, ma anche nella scelta di Sebastian di seguire il suo istinto con coraggio e sincerità, e cioè di tornare dalla ragazza di un tempo di cui si riscopre innamorato, abbandonando non senza dolore la donna con cui convive. Riunione di famiglia è insomma un film che, con la giusta dose di umorismo, ridimensiona fortemente certe problematiche – relative al rapporto di coppia e a quello padre/figlio – raccontandole però, al contempo, con lucida profondità, con perspicacia e attenzione. E’ privo, bisogna dire, di quella corrosività eloquente e indimenticabile che rese famoso Festen, ma forse è proprio con questo cambiamento che il regista danese mostra di avere digerito e superato definitivamente la sua esperienza nel Dogma 95 e di essere pronto per qualcosa di nuovo e diverso.
I due film di Vinterberg che stanno tra queste riuscite “meditazioni” sul tema della famiglia sono Le forze del destino e Dear Wendy: con il primo, un’incursione in un mondo futuribile in cui la terra è sconvolta da mutamenti climatici, il regista sembra essersi allontanato anni luce dalla dimensione del Dogma. Ma ecco che in Dear Wendy, sceneggiato non a caso da Lars Von Trier, ritorna lo spettro del film a tesi, tutto imperniato su un’idea (pre)determinata che le immagini sono chiamate “dogmaticamente” ad illustrare. Se a Von Trier riesce bene di essere, sia a livello di stile che di contenuti, un “dogmatico” in tutti i sensi, il Vinterberg di Dear Wendy ha perso la freschezza, l’aggressività e l’energia esibite in Festen ed è rimasto incagliato in una sceneggiatura che, nel suo essere così teorica e metaforica, cozza decisamente col realismo delle immagini, e il risultato è un film indeciso e poco riuscito. E’ il caso di citarlo in questa sede solo perché la comunità pacifista di ragazzi armati che ne è protagonista è un po’ un sostituto, se si vuole, della famiglia tradizionale: ragazzi orfani o in qualche modo emarginati, o più semplicemente insicuri, i personaggi creano un gruppo certamente più solidale e unito delle famiglie vinterberghiane di Festen e Riunione di famiglia.
Si potrebbe dire che Vinterberg appare più a suo agio a casa propria, a scavare con disperazione o ironia nel “marcio della Danimarca”, più che nell’America ricostruita in studio di Dear Wendy o nella dimensione quasi fantascientifica di Le forze del destino. E sembra proprio che quello della famiglia sia uno spunto fecondo per il regista, poiché i due efficaci film che si imperniano su questo tema hanno, per il resto, poche cose in comune. Fulminante diagnosi dell’ipocrisia di una classe sociale e insieme indagine impietosa su un’istituzione eterna e (in)crollabile – la famiglia appunto – Festenè stato per il regista un esordio internazionale notevole; seppure Riunione di famiglia non ha ricevuto dalla critica la stessa calorosa accoglienza, sembra tuttavia riportare il percorso del regista su una rotta più consona alle sue corde espressive, quantomeno rispetto al precedente, confuso apologo sulla non violenza che è stato Dear Wendy.

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