Road 47

Seconda guerra mondiale.
Italia.
A due passi dalla linea gotica.
La confusione della guerra regna sovrana e si impossessa anche dei paesaggi pieni di neve e di buio.
I soldati combattono senza sapere più bene il perché. Avanzano, arretrano, si perdono nei boschi e tra le lingue di un conflitto che è andato troppo oltre i semplici confini disegnati sulle cartine geografiche.
Anche le mappe servono a poco in questa estrema incertezza dei destini. Senza più i punti cardinali delle motivazioni, diventano segni sulla carta privi di senso e logica, come i disegni dei bambini che cercano di raccontare un mondo che ancora sfugge a ogni possibile comprensione.
In questa confusione c’è anche un reggimento di soldati provenienti dal Brasile. Alleati degli americani, aiutano, con le loro poche forze e con ancor meno comprensione del territorio che attraversano, nell’impresa di liberare l’Italia dai tedeschi e dagli altri italiani ancora nostalgici di fascismo.
Li incontriamo a inizio film che affrontano l’ardua impresa di sminare un tratto di strada. L’esplosione improvvisa di uno degli ordigni sepolti sotto la neve, getta la truppa nel caos e sbanda i soldati nell’orrore del panico, rompendo ogni riga. La maggior parte si perde nei boschi e nel freddo di una notte che congela. Qualcuno riesce a tornare alla base, smarrito, confuso, perso in mezzi ricordi e tante cose solo immaginate. Solo quattro paradossalmente si ritrovano e si vivono addosso l’esigenza di darsi un nuovo perché. Non possono tornare indietro perché significherebbe essere cacciati dall’esercito, ma non sanno neanche come andare avanti. Così decidono, in piena autonomia, di mettersi in marcia per la Strada 47, un percorso minato dai tedeschi in piena ritirata che è l’unica strada per liberare un paesino, San Giusto, nel quale ha trovato rifugio tanta povera gente e molti partigiani.
A far da bussola al loro perdersi tra i boschi, per sommo paradosso, dapprima un disertore italiano (un misurato Sergio Rubini) e poi, addirittura, un tedesco rimasto ferito che collabora all’inizio per non essere abbandonato in mezzo alla neve e poi vorrebbe essere abbandonato al freddo per non essere lasciato in mano ai partigiani.
Road 47 si fonda su una storia piccola di meschino eroismo. Una storia semplice semplice che, nella sua linearità pulita, diventa specchio ideale nel quale riflettere le ansie del combattente che non capisce più neanche dove sta. Perché, lo dice Guima, voce narrante che per miracolo non diventa malickiana e resta attaccata all’hin et nunc del personaggio, la paura del soldato è uguale ovunque, tra gli alleati come tra i nemici.
Il film, nel raccontare la guerra, mette in scena prima di tutto la fratellanza precaria che unisce, nel nome della paura, sia i soldati che ti stanno a fianco sia quelli che prendi prigionieri nella tua disperata strada verso casa. E così facendo diventa, man mano che avanza a fatica nella neve, un canto accorato e forte sul senso di inadeguatezza del soldato, sulla sua paura di non essere all’altezza degli ideali che lo hanno spinto ad arruolarsi, fosse pure il semplice desiderio di rendere orgoglioso un padre nel cui abbraccio sarebbe così bello sciogliersi.
Appoggiandosi su un quartetto d’attori piuttosto bravi, Vicente Ferraz costruisce un film giustamente lento e pervaso da un anelito documentaristico che riempie la finzione di echi di poesia.
Con il suo linguaggio limpido e privo di svolazzi o virtuosismi, Road 47 potrà apparire in un certo senso un film un po’ vecchio stampo, ma sta qui il suo fascino e la sua sincerità profonda e bella.
FOTOGALLERY
(A Estrada 47); Regia: Vicente Ferraz; sceneggiatura: Vicente Ferraz; fotografia: Carlos Arango De Montis; montaggio: Mair Tavares; musica: Luiz Avellar; interpreti: Daniel de Oliveira, Francisco Gaspar, Thogun, Júlio Andrade, Sergio Rubini, Ivo Canelas, Richard Sammel, Daniele Grassetti; produzione: Verdeoro, Três Mundos Cine y Video, Primo Filmes, StopLine Films; distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Brasile, Italia, Portogallo, 2013; durata: 108’
