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Romadocfest atto terzo

Pubblicato il 18 giugno 2004 da Edoardo Zaccagnini


Romadocfest atto terzo

Al RialtoSantAmbrogio scorrono le metropoli dal finestrino di un’auto. A centinaia e per una settimana. Quelle di oggi, di ieri e ieri l’altro. Ogni voce racconta la sua, da una strada che tange una fabbrica che fuma. Una strada che apre all’auto la città, e la lascia passare per guardare e toccare. La lascia sbirciare come un occhio curioso, e incrociare le facce e le voci della vita che c’ha dentro. Esistenze in lotta per mantenersi tali. Prigioniere di un meccanismo naturale e inventato, polmone o motore di un nome, un municipio ed ogni posto del mondo. Di un mostruoso ingranaggio antico, onnivoro e complesso nelle mani della storia. Geneticamente legato all’ uomo a alla sua sopravvivenza: il lavoro. Dentro la città, in ogni suo angolo. Il lavoro e la Metropoli. E’ questo, il titolo dell’ultima edizione del Roma Doc Fest, la terza. Una riflessione, approfondita e articolata, sulle società dei consumi nel tentativo, sentito, di smascherarne cliches ed esaltazioni. Analizzandolo, il mito, dai primi passi di quegli anni sessanta di boom e occhi chiusi. Frugando nel decennio successivo per rivedere a distanza, incremento demografico, alba del traffico automobilistico, lotta per la casa, lotte per i diritti. Tragitti circolari con andamento a serpentina: dal centro ai margini per far sentire gli sbalzi di una città, i piani, le differenze. Poi prorompente, chiamato, fastidiossissimo e più chiaro, il salto ad oggi. E il viaggio si ramifica, allunga e velocizza, diventano tanti. Da noi, Roma, Genova o Napoli, a Buenos Aires, Barcellona, Bombay, Tunisi... A misurare le distanze, fare il punto, accorgersi, informare. Alla fine si chiuderà un cerchio virtuale spazio-temporale, i cui due estremi simbolici, Ugo Gregoretti e Michael Moore, si toccano e accorgono di quanto possano essere lunghi trent’anni. Il presente globalizzato, multinazionalizzato, terzomondofago del ciccione buono comunica a fatica con il passato che lo ha prodotto. Eppure, se non il figlio, è il nipote, che ha studiato, manifestato, viaggiato. Il Roma Doc Fest si articola in tre sezioni. Uno sguardo romantico e lucido su Roma, un atto d’amore e di vendetta per la città che ospita il festival, dagli agglomerati con la campagna da un lato e San Pietro dall’altro, alla Roma nascosta e moribonda dei mestieri. Roma, di ucraine che si incontrano, di prostitute nigeriane che innamorano vite complicate, di Rom che giocano a calcio e che provano, senza esserne convinti, a incontrare la cultura che si affaccia sulle loro baracche. Il quadro finale è quello di una metropoli a metà, affaccendata nelle cose e nei problemi, ma a suo modo viva e permissiva. Sfondo assolato, trafficato, notturno, pacioccone, e rumoroso. Le mini dv che lo riprendono non hanno tecnica nè soldi, ma si accendono con le idee e la passione dei loro registi-operatori. Con il semplice piacere di raccontare una storia. E la ricerca un po’ sfrenata di un effetto a tutti i costi, abusando coi ralenti e la musica. Le idee son piene di coraggio e curiosità. La seconda sezione del festival è quella Internazionale. Più importante e più ricca qualitativamente della prima. Lavoro e metropoli nel mondo. Mettigli paura e consumeranno contro consuma solo il necessario. Ancora storie, costruite con mezzi e abilità, che parlano di economia, politica e società, del mondo. C’è il taglio ironico e leggero dei due fratelli albanesi, sbarcati a Brindisi con la grande ondata del ’91, e accortisi di una stradina a traffico alternato sotto un ponte, causa di liti, ingorghi e incidenti. Assuntisi con funzione di vigili, a dodici anni di distanza, sono ancora là indispensabili ma abusivi: I fratelli semaforo, appunto. E c’è un gran bel documentario che si intitola Dias de cartones, che vince nella sua sezione e che mostra il modo in cui la più grande crisi economica e sociale dell’Argentina abbia influito su classi diverse della popolazione. Sviluppato intorno alla via dei cosiddetti cartoneros, che frequentano strade e cassonetti alla ricerca di cartoni da rivendere per pochi soldi, il film segue questo esercito di ombre - più di centomila - che si riuniscono ogni notte per guadagnare qualcosa nelle strade dei quartieri più ricchi di Buenos Aires. Il documentario colpisce per bellezza e profondità. E non è l’unico a stordire, frastonare e attrarre. La terza sezione del festival si chiama Frammenti d’archivio. E’ una serie di documenti messi a disposizione dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Lo scopo è sempre mostrare la bellezza del linguaggio cinematografico contro la bruttezza delle cose sporche, per accorciare le distanze temporali, e creare un ponte. Prestigiosa la firma dei Fratelli Taviani che neanche nel loro Genova, una città al bivio, rinunciano alla consueta predisposizione per il desiderio di cambiamento, promuovendolo con la loro grande abilità registica. Fa parte di quest’ultima sezione, anche il film che apre la mostra: Dentro Roma di Ugo Gregoretti. Un gioiello che unisce virtualmente più sezioni, costruito con la voce over di un giovanissimo Gigi Proietti, e che visualizza attimi di memoria di una Roma di trenta anni fa, e bellissima nei suoi riti, nelle animosità dialettiche di certi romani, nelle ore che passano di una giornata ideale e di normale caos. E’ Gregoretti uno dei due estremi ideali della manifestazione. L’altro, come accennato è l’acclamatissimo e pluripremiato Michael Moore. Non quello di Columbine e neanche il discusso trionfatore dell’ultimo Cannes. Ma uno inedito in Italia, e riconoscibilissimo. Alle prese con un’inchiesta sulle politiche di riduzione del personale di alcune multinazionali americane e il loro rimpiazzo con manodopera a basso costo nel Terzo mondo. Il risultato non si discute, il titolo è The Big One. Il Roma Doc Fest gli dedica una proiezione speciale. L’ultima, prima dei premi e di una birra tra le piante e le candele del giardino interno del Rialtosantambrogio. Un angolo di pace nel cuore di Roma, paradossalmente illeso da inquinamento acustico e smog. Si sviluppa il chiacchierio leggero, si incontrano persone. La tensione scema, la riflessione nascerà domani. Se fosse un bar sarebbe uno dei più belli di Roma, ma è anche cinema e cultura, tutto l’anno.

[giugno 2004]


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