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Rupi del vino - Roma 2009 - L’altro cinema/Extra

Pubblicato il 19 ottobre 2009 da Lorenzo Vincenti


Rupi del vino - Roma 2009 - L'altro cinema/Extra

Lo sguardo puro dell’uomo onesto, l’incedere lento di colui che non sente più l’urgenza di correre dietro alla vita, ma che dalla vita stessa preferisce essere avvolto per avere l’opportunità di assaporarne i gusti migliori, registrarne gli eventi più belli e silenziosamente omaggiarne i miracoli più piccoli e meravigliosi.
Alla chetichella se ne va ancora sul suo sentiero di montagna Ermanno Olmi, sempre alla ricerca del suo cinema più puro e di quella storia giusta, da raccontare con l’intensità e l’onestà della propria arte. Il suo è un cammino al contempo spirituale e materiale che ormai assume con sempre più frequenza i tratti affascinanti della deriva solitaria, dietro la quale si cela in realtà, anziché uno stato d’erranza, la necessità di evadere dalla finzione di un mondo costruito e il desiderio di tornare con la caparbietà e l’energia di un ventenne alle forme, i ritmi, il linguaggio di un antico amore artistico: il documentario di creazione. Un tipo di cinema a cui tanto deve Olmi e che, ormai da qualche anno, investe nuovamente l’anima e il corpo di uno dei più grandi registi viventi del nostro cinema (se non il più grande), coinvolgendolo a tal punto da consentirgli, ad un’età invidiabile come la sua, la realizzazione di quasi un film all’anno. Ma, d’altronde, l’urgenza dello sguardo, del racconto, di una tradizione popolare da fissare definitivamente nella memoria collettiva per scongiurare il rischio concreto di una cancellazione definitiva sono elementi troppo importanti per essere oscurati da problematiche di altro tipo ed è sulla base di questo assunto che quel cammino sul sentiero si è fatto in questo ultimo periodo sempre più pressante e invadente. Non solo. Quando il cammino diventa poi condizione esistenziale, quando tutto ciò diviene testimonianza concreta, si rende allora necessario vivere tale condizione in prima persona, affinché si possa capire veramente, immergendosi nei miracoli della vita, il momento adatto in cui fermarsi ad ammirare i risultati incredibili della natura, la fascinazione scaturita dai momenti più semplici e poi successivamente impegnarsi a difendere la purezza di tali elementi (l’atto politico di Terra Madre) o a testimoniare l’energia vitale emanata dalla terra.
Nasce proprio da quest’ultimo concetto, l’idea originaria di Rupi del vino. Un gioiello grezzo ed inestimabile capace di catturare lo spettatore con i mezzi più belli e al contempo meno utilizzati da tanto cinema di consumo. La poesia delle parole, dei suoni e delle immagini ad esempio, o la costruzione di un ritmo interno molto intenso, da fare invidia ad ogni più audace narratore o metteur en scene che si rispetti o anche la sua profonda e insita semplicità, che lungi dall’essere confusa con la banalità o la superficialità di tanto altro cinema, è un elemento a cui può avvicinarsi solo chi è realmente padrone del mezzo cinematografico. Olmi, in questa sua nuova perla (realizzata per scopi divulgativi e politici in senso ampio), regala alla gente emozioni difficili da trovare nella vita quotidiana, proprio perché troppo spesso nascoste dalla coltre di polvere e marciume che invade la società moderna. Per questo egli si impegna nei nostri confronti in prima persona ad andare nei luoghi incontaminati del bel paese, come la Valtellina ad esempio, per mostrarci come là risieda l’essenza di un vivere coscienzioso e costruttivo, come in quelle valli sia possibile ancora venire a capo delle radici culturali di un intero popolo.
Sfruttando il pretesto della grandiosità dei vitigni valtellinesi, la magia dei quali meriterebbe ben più corpose dissertazioni (chi ha avuto l’opportunità di assaggiare vini preziosi come il Grumello, il Sassella o l’Inferno può comprendere tale affermazione), Olmi indaga i segreti di un territorio vasto e mutevole, che dalle sponde del lago di Como arriva a toccare il cielo nelle vette ghiacciate del Bernina, del Gran Zebrù, del Disgrazia o del Pizzo Tresero. Il suo è un approccio educato, un ingresso in punta di piedi, rispettoso della storia grandiosa su cui poggia quell’intero territorio. Per questo motivo egli si affida nella descrizione di quei luoghi, nella indagine delle sue pratiche popolari e nella restituzione di una lavorazione del vino manuale e impermeabile alle alterazioni del tempo, alla solennità della letteratura, alla sua altrettanto invariabile elevata capacità descrittiva. Senza distinzione tra prosa o poesia, tra saggistica e pratica epistolare, tra racconto intimo e carteggi antichi, Olmi affida alla potenza della parola il proprio omaggio alla terra e al vino lasciando che le immagini sottostanti si mescolino tra loro in un insieme unico e suggestivo. La narrazione approntata, infatti, viene letteralmente trascinata dalla portata delle illustri parole, che di tanto in tanto compaiono sul piano visivo e auditivo per inneggiare alla pregevolezza della viticoltura valtellinese, alla regalità di luoghi e gesti diventati nel corso degli anni fonte d’ispirazione per personalità del calibro di Mario Soldati (a cui il film è dedicato e il cui testo L’avventura in Valtellina ha ispirato l’evoluzione del film), Indro Montanelli, Enzo Biagi, Pietro Ligari, o di tutti quei pensatori raffinati e legislatori del diritto agricolo che nell’antichità usavano dissertare delle note pratiche legate alla costruzione dei muri a secco, tecnica non solo efficace per la coltivazione in altura ma anche necessaria al mantenimento di un territorio soggetto a smottamenti, della coltivazione della pianta, della manutenzione certosina dei ronchi vitati, sino ad arrivare ovviamente alla vendemmia e alla vinificazione finale. Olmi lascia che siano questi illustri testimoni a parlare della pratica del vino e dei luoghi ad essa collegati mentre non consente di intervenire ai braccianti, agli agricoltori, ripresi solo nell’atto della lavorazione quasi a voler dimostrare come quei loro gesti documentati dalle immagini debbano rimanere tali e inalterati, o quanto meno non debbano essere interrotti dall’intromissione di un occhio umano e rispettoso. Un occhio che è lì solo per omaggiarli e non per ostacolare una pratica di tradizione millenaria. La mdp infatti non entra mai troppo dentro il soggetto ma rimane da una parte, qualunque esso sia. Essa assume su di sé la responsabilità della testimonianza diretta e pretende di arrivare al cuore dello spettatore per prima attraverso inquadrature di una energia infinita. Grazie ai suoi bravissimi collaboratori, il regista della bergamasca, porta così in scena la rassegna di grandiosi tableau vivant, tutti basati sul fascino dei colori più particolari e su una luminosità variabile, a tratti sontuosa, a tratti intima. Se a questo elemento si aggiunge poi l’efficacia di un montaggio esemplare (realizzato dalla bravissima Federica Ravera), tutto basato, come detto in precedenza sulla sofisticata costruzione di un ritmo interno particolarmente intenso, drammatico, solido e l’elaborazione di un sostrato auditivo fatto di canti popolari, rumori sacri rilasciati dalla natura e silenzi assordanti provenienti dai terrazzamenti alpini, l’intero documentario di Olmi acquisisce improvvisamente i tratti caratteristici dell’elegia vera e propria.
Un canto dal valore etico destinato a divenire politico nel caso in cui i territori della viticoltura eroica valtellinese diventassero un giorno, così come richiesto dalle istituzioni (finanziatrici del film) patrimonio internazionale dell’Unesco. Nell’attesa che tale evento si realizzi, ci godiamo la bellezza di quest’opera d’arte rendendo ancora una volta omaggio alla grandezza di un cineasta incredibile.


CAST & CREDITS

Regia e sceneggiatura: Ermanno Olmi; fotografia: Massimiliano Pantucci; montaggio: Federica Ravera, Paolo Cottignola; produzione: Provincia di Sondrio, Banca Popolare di Sondrio, Fondazione Cariplo; origine: Italia, 2009; durata: 54’


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