SALVATORE - QUESTA E’ LA VITA

Curioso tentativo di innestare le logiche del classico prodotto Disney in terra siciliana, Salvatore - Questa è la vita è, prima di tutto, una vera e propria contraddizione in termini.
A contraddirsi sono, essenzialmente, le due anime dell’operazione che si muovono tra un’esigenza realistica piuttosto netta (la storia del piccolo Salvatore che perde entrambi i genitori e si trova addosso il peso di tutta la famiglia è, entro certi limiti, ispirata ad un fatto reale) e il bisogno di muoversi sul terreno franco di un racconto favolistico buono per tutta la famiglia, ben educato e pieno dei migliori propositi.
Puntando un po’ ambiziosamente sulla linea del Truffaut più maturo (per intenderci: non quello di Les quatre cent coups, ma quello di L’argent de poche), Cugno cerca di calcare la strada impervia di un film che riesca a farsi tutt’uno con la visione ancora bambina del suo piccolo protagonista, inseguendo, con la macchina da presa, i suoi piccoli soprassalti emotivi e sforzandosi sempre di comporre l’immagine di un mondo così come potrebbe disegnarla un ragazzino che sa ancora tenere a mala pena in mano i pastelli della propria immaginazione.
Ma il bambino ideale del regista non è di quelli che si incontrano tutti i giorni per strada. Non è un bambino ormai formato dall’immaginario televisivo (sarà per questo che a tavola, Salvatore, è sempre di spalle rispetto all’apparecchio televisivo mal sintonizzato), né un bambino che passa le sue giornate tra playstation e gameboy, ma un piccolo uomo, un bimbo (nel senso deteriore del termine) tutto formato su vecchi libri alla Cuore e sane merende ad orari comandati.
Per questo, man mano che il racconto comincia ad essere puntellato da sequenze quasi oniriche che hanno proprio il sapore di un vecchio libro illustrato per bambini, tutto fatto di tratti precisi e di colori forti, avanza anche il dubbio, nello spettatore, sul senso di un’operazione che ci parla di una realtà infantile che, in fondo non esiste più (se mai è pure esistita).
In quest’ottica anche la fotografia della pellicola che, ben lungi dal ricercare suggestioni ruvidamente realiste, si impagina come un insieme di piccoli quadrucci di maniera in cui ogni eccesso viene smorzato nel comune denominatore di una piacevolezza tutta infantile, finisce per diventare un inutile vezzo. E lo stesso personaggio della nonna (un’inedita Lucia Sardo), tutta infagottata nei suoi abiti da befana buona delle favole, diventa più che altro espressione di questo desiderio di ricondurre tutto il mondo della pellicola (che pure parla di abbandono e sfruttamento del lavoro minorile) nello spazio innocuo di un teatro dei pupi, col suo cielo di cartapesta e le sue scene maestre.
Non appena si avanza abbastanza nel corpo della narrazione ci si accorge, insomma, che l’infanzia cui guarda Cugno non è mai quella insidiosa della psicoanalisi, né quella guardata con lo sguardo benevolente di “nonno Truffaut”, ma è, piuttosto, disegnata sul ricalco dei peggiori libri per bambini: quelli in cui anche i grandi drammi della vita finiscono rivoltati in pochi giri di parole e dove la pedagogia d’accatto tira, da sola, tutte le fila del discorso.
L’anima commerciale, alla fine, prende il sopravvento sulla vocazione realistica dello spunto e il disegno da favola bella, anziché diventare una possibile chiave di interpretazione del Reale, soffoca il tutto nella melassa del lieto fine a tutti i costi.
Questa, checchè ne dica il sottotitolo, non è la vita, ma un’immagine stinta di vita che qualcuno (la scuola soprattutto) si ostina ancora a passare a bambini che non si vuol far crescere per davvero. Ed è questo il peccato capitale di un film che per lo più sembra sempre scritto male e girato peggio.
Manca, infatti, al film la mano di un vero direttore d’attori e le scene si accavallano tra loro in maniera, spesso, incongrua rivelandosi del tutto incapaci a disegnarsi secondo il tracciato di una reale progressione drammatica. Finché si è nello spazio tutto descrittivo della prima parte, questo avanzamento a quadri chiusi può anche avere un certo senso, ma diventa un limite imperdonabile quando si passa all’azione concreta e quando il dramma dovrebbe esplodere per davvero (in realtà l’effetto è il più delle volte quello di un ridicolo involontario).
La canzone della Pausini affonda, alla fine, nel corpo gracile del film come un letale e finale colpo di mannaia.
[Novembre 2006]
(Salvatore - Questa è la vita); Regia: Gian Paolo Cugno; sceneggiatura: Gian Paolo Cugno, Paolo Di Reda, Paul Zonderland; fotografia: Gino Sgreva; montaggio: Ugo De Rossi; musica: Paolo Vivaldi; interpreti: Enrico Lo Verso (Il maestro), Alessandro Mallia (Salvatore), Galatea Ranzi (Laura Valvo), Giancarlo Giannini (Timpaliscia), Gabriele Lavia (Il direttore della scuola), Lucia Sardo (Nonna Maria); produzione: The Walt Disney Company Italia, Globe Films; distribuzione: Buenavista; origine: Italia, 2006; durata: 90’; webinfo: Sito Ufficiale
