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SBALLATI D’AMORE

Pubblicato il 16 agosto 2005 da Alessandro Izzi


SBALLATI D'AMORE

L’erba di Grace era un film che ci aveva se non altro incuriositi per la sua vena simpaticamente anti proibizionista e per la capacità di giocare con il materiale umano in maniera certo un po’ stereotipata, ma comunque efficace. Era un film che confermava una certo non comune capacità di direzione degli attori e che si innestava in maniera abbastanza sicura all’interno di quel filone della commedia inglese a metà strada tra l’astrazione del meccanismo ludico fine a se stesso e le più serie intenzioni dello spaccato di denuncia sociale alla Ken Loach. Certo vi si respirava un che di manierato e qualche volta il bozzetto giocoso prendeva il sopravvento sulle intenzioni (le gag delle vecchiette che prendevano le foglie d’erba per finissimo te), ma restava ferma la promessa di un possibile talento autoriale da farsi. Il successivo Calendar girls mantenne solo un paio delle promesse del predecessore. Mentre il regista confermava, infatti, una sua notevole capacità di gestire dei cast anche sontuosi composti da glorie del cinema inglese e da comprimari e figure di contorno scelti con fine intuito spettacolare si andava, però affievolendo il rapporto effettivo del film con la realtà contemporanea. Il meccanismo astratto della commedia cominciava a prendere il sopravvento sulle possibili intenzioni di critica sociale e anche i momenti più acidi (come tutta la squilibratissima parte del viaggio a Hollywood composta secondo una logica di contrapposizioni manichee abbastanza risaputo) si scioglievano in un che di generico e non realmente conosciuto. Ora che il viaggio iniziatico preannunciato nel film di cui sopra si è definitivamente consumato, nel senso che il regista, come i personaggi della sua fortunata pellicola, è finalmente riuscito a sbarcare nell’illusorio mondo di Hollywood (il nuovo film di Nigel Cole è di limpida produzione americana) quello con cui ci troviamo a fare i conti è la storia di sempre di un patto faustiano tra un possibile autore e l’industria dell’intrattenimento. E, ci sembra, al regista non è riuscito ciò che invece è stato possibile alle protagoniste del film: non perdere del tutto la propria identità in nome del commercio. Sballati d’amore sembrerebbe, da questo punto di vista, essere la conferma della fine di una parabola discendente di un cinema che si rifugia sempre più in se stesso e non ambisce in alcun modo a far riflettere davvero il proprio spettatore né su tematiche di carattere sociale, né tanto mano su quelli che possono essere i grandi interrogativi dell’esistenza. Resta, è vero, una mano sicura nella gestione degli interpreti (persino Ashton Kutcher per una volta sembra davvero capace di recitare), ma quella tendenza al bozzetto, quel gioco vuoto rivolto all’astrazione più pura del meccanismo drammaturgico che già erano presenti nei film precedenti divengono sempre più i segni di un possibile talento sprecato. La formula del film può essere limpidamente esemplificata nella classica formula anglosassone di “boy-meets-girl/boy-loses-girl/boy-gets-girl-back”, ma essa è rivissuta senza uno sguardo realmente immedesimato in ciò che si va raccontando. Ne viene fuori un film grondante di stereotipi in cui quel po’ di spirito grottesco e surreale che ci era sembrato di respirare di fronte all’opera prima, si è del tutto perso. Certo si può rimarcare la persistenza di un filo di originalità nel modo in cui la storia si dipana negli anni mettendo insieme due solitudini destinate fin dall’inizio a stare insieme, ma sempre incapaci a trovare il posto e il momento giusto per farlo (ma di questo gran parte del merito va allo sceneggiatore non certo al regista). Certo si può rivendicare che di fronte al vuoto stantio con cui in genere vengono impaginate le commedie romantiche qui almeno c’è lo spazio per una certa sincerità con cui si mettono in scena, senza strafare i sentimenti (contro la pratica televisiva della messa in piazza brutale). Ma in effetti sono motivi deboli di fronte ad una commediola al fondo alquanto anonima ancorché di gradevole visione. Un’opera definitivamente astratta, priva di ogni contatto con il mondo e pensata solo per passare un paio d’ore in lieta lobotomia volontaria.

(A lot like love); Regia: Nigel Cole; sceneggiatura: Colin Patrick Lynch; fotografia: John de Barman; montaggio: Susan Littemberg; musica: Alex Wurman; interpreti: Ashton Kutcher, Amanda Peet, Kathryn Hahn, Kal Penn, Ali Larter, Taryn Manning; produzione: Armyan Bernstein, Kevin J. Messick; distribuzione: IIF

[Agosto 2005]

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