Scary movie 3

Quello che accumuna tutti e tre i film della serie di Scary movie è la precisa volontà demistificatoria nei confronti degli stilemi classici di certo cinema main stream e di genere. Le pellicole in questione, in altre parole, poggiano tutto il proprio discorso su una limpida volontà destrutturante che si fonda su una decisa azione di svuotamento semantico degli archetipi narratologici tipici dei film thriller ed horror. Tali archetipi, isolati come sono dal contesto dei rispettivi film di appartenenza (entro cui potevano ancora conservare un loro senso immanente), vengono ricondotti, dall’azione fin troppo visibile di regista e sceneggiatori, alla loro nuda realtà di puri e semplici meccanismi necessari allo svolgimento dell’intreccio. La sola idea, per esempio, di una videocassetta che fa morire chiunque la guardi (con posticipazione di una settimana per permettere ai malcapitati di risolvere un povero enigma) è di per sé comica e può diventare terrorizzante solo se forzata in un contesto angoscioso che possa donarle una qualche patente di credibilità. Ma nel momento in cui questa idea viene strappata dal contesto che tanto faticosamente le era stato costruito intorno, a diventare palese è proprio la forzatura che il sovraccarico emozionale determinato dall’accumulo di scene shock, musiche inquietanti e sinistri angoli di ripresa aveva tanto faticosamente occultato. E la forzatura, lo sappiamo da ben prima delle argute riflessioni sul riso di Bergson, è per sua stessa natura comica. Insomma, ridotti come sono all’essenza di semplici astrazioni, i topoi riconosciuti del film horror finiscono, quindi, per aprire un terreno franco al fraintendimento rivelando, come per magia, quel potenziale comico che, nel film di origine, era latente, ma mai del tutto assente. Quello che si ha davanti, insomma, è un vero e proprio gioco al massacro in cui l’opera viene costruita sui resti di certo cinema (meglio se minore e poco riuscito), mediante un assemblaggio di vestigia distorte di altre pellicole che non nasconde la propria vocazione enciclopedica (un’enciclopedia comunque dissacrante) che è, però, al tempo stesso, anche un preciso termometro con cui il cinema può saggiare il suo attuale stato di salute. Quanto più, infatti, una cinematografia si impoverisce nella ripetizioni delle proprie formule (è il caso della moderna industria hollywoodiana) tanto più i film di carattere demenziale divengono a loro modi necessari per ogni tentativo di ridefinizione. Essi sono come dei veri e propri “grilli parlanti”, degli anticorpi, delle mine vaganti che, con azione mediata gettano il seme dell’intelligenza proprio nel corpo di quelle pellicole che di intelligenza ne avevano mostrata troppo poca. Contro le derive di certo cinema commerciale, i film come Scary movie 3 (che pure restano squisitamente nell’alveo di un cinema che si vuole commerciale), rispondono con le armi del comune buon senso, demistificano il sistema pur rimanendone all’interno. I fratelli Wayams avevano impostato il proprio lavoro sui primi due film della serie proprio su questa logica, ottenendo, fondamentalmente, un agglomerato indifferenziato di gag estrapolate dai film e dai contesti più diversi. Il loro lavoro, sottile e profondo, era orientato verso la totale destrutturazione del meccanismo narrativo con una serie ininterrotta di trovate disturbanti che mettevano in scena prima di tutto i luoghi comuni di quell’immaginario giovanilistico che sostanziava, sotto spoglie più normalizzate e borghesi, lo stesso genere horror. Pensati prevalentemente per una fascia di pubblico che non voleva superare il target dell’adolescente maschio americano e dei soliti amanti del genere (nonché di quei critici capaci di superare lo scoglio del metacinema e di apprezzarne il gioco quasi underground), queste opere erano spesso anche troppo eccessive, ma avevano il pregio di riuscire ad imporre quell’arroventato immaginario erotico che l’autocensura delle pellicole horror aveva lucidamente rimosso. David Zucker, nel prendere le redini di questo terzo capitolo, dal canto suo, riconduce la serie verso lidi che gli sono più congeniali (realizzando tra l’altro una delle sue opere migliori dai tempi di L’aereo più pazzo del mondo). Dal punto di vista puramente narrativo la serie compie un deciso passo avanti, rivelando una struttura interna decisamente più compatta ed una maggiore attenzione verso i personaggi (spesso eccellentemente interpretati). Dal punto di vista sociologico il film compie, però, un passo indietro (forse anche in vista della nuova ondata censoria subentrata nell’industria americana dopo l’11 settembre) perdendo di vista le reali peculiarità del target cui si rivolge. I fratelli Wayams erano decisamente dei cineasti meno abili di Zucker, ma avevano sott’occhio una realtà che coglievano con spirito più iconoclasta e sincero. Il risultato è un film decisamente più bello, ma anche più povero. Un testo che resta impresso nella memoria per il fuoco di fila di battute cui ci sottopone e che, ridendo del cinema americano, ci parla anche, sotto testo, della realtà di quella società che lo consuma in maniera sempre più indifferenziata.
(Scary movie 3); Regia: David Zucker; sceneggiatura: Craig Mazin, Pat Proft; fotografia: Mark Irwin (C.S.C. - A.S.C.); montaggio: Malcolm Campbell, Jon Poll; musica: James L. Venable; interpreti: Anna Faris, Anthony Anderson, Leslie Nielsen, Camryn Manheim, Simon Rex, Queen Latifah; produzione: Brad Grey Pictures; distribuzione: Buena Vista
[febbraio 2004]
