SE SOLO FOSSE VERO

Scoppiettante commedia-drammatica-fantastico-romantica vagamente old-style e appena spruzzata da tocchi di irrealtà.
L’intensa vicenda centrale ruota attorno a un’insolita love-story a sfondo paranormale, in cui i due protagonisti non possono neppure toccarsi, come avveniva già in Ghost: ma piuttosto che sul lacrimevole, qui i realizzatori del film spingono l’accelleratore sugli spunti comici che tale bizzarra situazione mette in moto.
Se solo fosse vero è un film con diverse anime, impreziosito dal contributo di tante personalità di talento: da Mark Waters, debuttante di belle speranze col piccolo e caustico La Casa del Sì a Reese Witherspoon, neo premio Oscar che si consacra qui erede di Meg Ryan, di cui sembra in grado di riprodurre tutto il campionario di mossette, ma con ben altre frecce al suo più duttile arco. E il regista di Mean Girls (successone d’oltreoceano, passato inosservato qui da noi), dopo aver lanciato Lindsay Lohan si affida completamente alle sue comprovate doti di commediante. L’ottimo spunto di partenza è il romanzo, best-seller in Francia, Se Solo Fosse Vero, di Marc Levy, mentre il titolo originale (Just Like Heaven) riprende quello di una “deliziosa” canzone dei Cure, di cui condivide lo spirito surreale e scherzoso a un tempo (una delle rare e tuttavia piacevoli incursioni del celebre gruppo dark in territori variopinti).
Anche l’universo filmico da cui Waters-Levy attingono è quanto mai eterogeneo: si trasmigra con disinvoltura (eccessiva?) da Il Favoloso Mondo di Amélié a quello di Vertigo, passando attraverso La Morte ti fa bella. Un brivido percorre la schiena dello spettatore cinefilo sfiorato dal dubbio che la libreria dell’occulto presente nel film possa essere proprio quella del capolavoro hitchcockiano... anche lo story-concept sembra provenire direttamente da lì: un uomo che si innamora di una defunta (o presunta tale). E poi c’è naturalmente l’ambientazione comune della magica atmosfera di San Francisco, qui però malamente sfruttata dato che le riprese si sono svolte quasi interamente tra ospedale e appartamento di Elizabeth.
Piovono sul capo dello spettatore una serie di considerazioni all’acqua di rose, a partire dalle riflessioni della protagonista sulla propria esistenza pregressa, quando era un chirurgo di pronto soccorso completamente dedito alla sua missione di salvare vite umane, rinunciando consapevolmente alla propria. “Ero già un fantasma prima di morire” realizza d’un tratto con amarezza quando capisce che nessuno faceva caso alla sua presenza. Secondo una sequela di paradossi, lei comincia a vivere dopo essere morta e lo stesso protagonista maschile, David, che ha da poco perso la moglie, torna alla vita grazie all’aiuto di una morta. Forse è l’unico in grado di vedere e parlare con Elizabeth proprio perché è come fosse già morto anche lui. Ad interpretare il protagonista ossessionato dal fantasma della moglie - che si chiamava Laura, altro elegante rimando cinephile, Mark Ruffalo, viso triste e sguardo torvo, che funziona nella commedia per contrasto (come il Bogart di Sabrina).
Certo, poi il finale è consolatorio e la morale addirittura stucchevole (“l’amore può tutto e vince ogni male”), quando non proprio reazionaria. La commedia da invece il meglio di sé quando si arrampica con disinvoltura sugli appigli offerti dal contesto irreale. Ed è per questo che i legami con la recente attualità (il caso Terry Schiavo) stonano una volta di più.
(Just Like Heaven) Regia: Mark Waters; soggetto: dal romanzo If only it were true di Marc Levy; sceneggiatura: Leslie Dixon, Peter Tolan; fotografia: Daryn Okada; montaggio: Bruce Green; musica: Rolfe Kent; scenografia: Cary White; interpreti: Reese Witherspoon (Elizabeth Masterson), Mark Ruffalo (David Abbott), Donald Logue (Jack Houriskey), Dina Spybey (Abby Brody), Ivana Milicevic (Katrina); produzione: Dreamworks SKG, Macdonald/Parkes Productions; distribuzione: UIP; origine: USA 2005; durata: 95’; web info: sito italiano
