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Self/less

Pubblicato il 10 settembre 2015 da Alessandro Boni
VOTO:


Self/less

Si attendeva con una discreta dose di curiosità il quinto lungometraggio di Tarsem Singh, dopo che i suoi precedenti lavori, pur tra contrastanti esiti di critica e di pubblico, avevano comunque lasciato intravedere ampi sprazzi di originalità e visionarietà creativa. Di fatto, dal primo The Cell (2000) fino al recente Biancaneve (2012), il regista indiano aveva sempre mostrato una spiccata capacità di amalgamare luci, colori ed inquadrature, dedicando grande attenzione al lato estetico del suo cinema al punto di deragliare talvolta nel barocchismo visivo. Con Self/less, Singh si avventura stavolta su territori e tematiche “alla Rod Serling”, confrontandosi con un thriller a sfondo fantascientifico; anche in questa occasione, tuttavia, pur mostrando una maggiore “sobrietà” d’approccio rispetto al passato, non riesce a realizzare un prodotto pienamente convincente. Il film, infatti, si rivela piuttosto convenzionale e scontato, molto carente dal punto di vista della suspense e decisamente superficiale nel delineare i personaggi, che interagiscono peraltro con un contesto di fondo poco credibile pur nei suoi presupposti fantascientifici.

Damian Hale è un uomo d’affari newyorkese smisuratamente ricco che, ad un certo punto della sua vita, si trova a dover fronteggiare uno di quei problemi che neanche i soldi possono risolvere: una malattia letale che gli lascia solo sei mesi di vita. Viene però a sapere dell’esistenza di una cura rivoluzionaria, che può dargli la possibilità non solo di sopravvivere ma anche di ritrovarsi con un fisico giovane e perfetto; il folle costo, 250 milioni di dollari, non è certo un ostacolo per lui che decide così di procedere. Il suo “essere cosciente” viene quindi trapiantato in un corpo creato artificialmente per l’occasione, consentendo a Damian di rinascere letteralmente dal punto di vista fisico. Qualcosa però non è come sembra e, presto, l’affiorare di strane immagini e “ricordi” nella sua mente svela inquietanti verità, nascoste dietro il miracolo della sua nuova vita.

La tematica del corpo umano considerato come un involucro, che può ospitare una personalità diversa dall’originaria, è piuttosto intrigante e si sarebbe prestato ad interessanti approfondimenti di natura psicologica e filosofica. Diversa, invece, la direzione presa dagli sceneggiatori del film, i fratelli Pastor, che hanno scelto aprioristicamente di non esplorare le complesse problematiche sottostanti, optando per la superficialità e i potenziali maggiori incassi. Ne scaturisce così un prodotto blando ed ordinario, che si lascia vedere ma non coinvolge né emoziona. Molto esplicativo, al riguardo, il confronto quasi impietoso tra Self/less e Operazione diabolica, film del 1966 di John Frankenheimer, che presenta una certa analogia di trama; qui, l’attenzione è concentrata sulla drammaticità di un conflitto interiore che diventa il filo conduttore stesso del film, generando continua tensione e pathos tangibile anche attraverso immagini di forte impatto.

Alla scarsa efficacia della sceneggiatura, non riesce peraltro a porre rimedio Tarsem Singh, che sembra anzi a disagio nel gestire i meccanismi di creazione della suspense, non riuscendo a conferire il giusto tasso di tensione ai momenti potenzialmente più stimolanti della trama; anche la scelta del regista di rinunciare ai suoi tocchi visivi un po’ surreali e conturbanti rende piuttosto anonima la messa in scena del film, confinandolo nel coacervo di tanti prodotti similari privi di personalità. Anche sul piano recitativo, poi, non si rivela particolarmente azzeccata la scelta di Ryan Reynolds quale protagonista; l’attore canadese, infatti, non mette in evidenza doti particolari, oltre alla bella presenza, mostrando soprattutto una certa carenza nella gamma espressiva.

Self/less, in definitiva, non si rivela all’altezza delle attese di tipo “autoriale” legate al talento registico di Singh. Anche come semplice thriller fantascientifico, peraltro, il film corre seri rischi di non essere pienamente apprezzato; i tratti quasi surreali della parte fantascientifica nonché la scarsa suspense di molti snodi narrativi, infatti, possono lasciare insoddisfatti molti spettatori, soprattutto amanti dei due generi.


CAST & CREDITS

(Self/less) Regia: Tarsem Singh; sceneggiatura: Alex Pastor, David Pastor; fotografia: Brendan Galvin; montaggio: Robert Duffy; musica: Dudu Aram, Antonio Pinto; scenografia: Tim Beach; interpreti: Ryan Reynolds, Ben Kingsley, Matthew Goode; produzione: Endgame Entertainment, Ram Bergman Productions; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Usa; durata: 117’.


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