Semiramis
La Grande Madre dei primordi, antropofaga e vitale, simbolo e incarnazione possente del femminino sacro che dominava i templi e le tombe e le credenze delle popolazioni preistoriche, è apparsa, in tutta la sua grandezza e squallore -in ultimo, in tutta la sua santità-, durante la prima parte della stagione teatrale del romano Rialtosantambrogio.
Semiramis, spettacolo della giovanissima compagnia Menoventi, richiama infatti in tutta la sua forza, e sotto una luce estetizzante e post-moderna venata di sottili critiche all’odierna struttura sociale, il mito primigeno della donna crocicchio e crogiuolo del mondo attraverso la figura di Semiramide, mitica regina di Babilonia a cui si ascrivono, indifferentemente e senza soluzione di continuità, efferati omicidi e grandi conquiste, straordinarie doti amministrative e biechi impulsi degradanti, incesti regali e la costruzione dei Giardini pensili della città, annoverati tra le sette meraviglie del mondo antico. Una sfida ardua quindi, a cui va ad aggiungersi il principale referente letterario prescelto da Gianni Farina –regia-, Consuelo Battiston –interprete- e Alessandro Miele –qui in veste di macchinista di scena-, cioè Calderòn de la Barca e il suo La figlia dell’aria –senza contare l’imponente, fisicamente e poeticamente, riscrittura del testo del poeta spagnolo ad opera di Hans Magnus Enzensberger. Un lavoro che sembra aver pagato dal punto di vista dei premi e delle segnalazioni -vincitore al Loro del Reno, secondo ad Extra – segnali della nuova scena italiana- permettendo alla compagnia campana-emiliana-friulana, luoghi di origine e residenza dei tre componenti, di essere tra il quartetto di gruppi scelti per Nuove sensibilità, progetto di sostegno alle giovani compagnie realizzato dal Teatro Stabile dell’Umbria e dal Festival Es.Terni, inserito a sua volta nell’omonimo bando promosso dall’ETI.
Un lavoro importante dunque, che specchia il suo successo nell’interessante cifra spettacolare dell’operazione, annoverabile nell’ampio filone delle riscritture, riproposizioni, di vicende mitiche o storiche secondo angolature teoriche e/o estetiche innovative. Immergendo l’imponente figura di Semiramide nel gorgo della post-modernità, i Menoventi compiono, coscientemente, quell’attraversamento senza se e senza ma che sottende ogni lavoro di questo genere, donandoci uno spaccato rivelatore della parabola della bella regina assira rispetto al mito e all’opera di Calderòn de la Barca. La maestosa figlia della ninfa Derceto e del cacciatore Caistro, regina della città di Babilonia e futura carceriera del proprio figlio Ninia, diviene nella lucida visione dei Menoventi una folle e smagrita ospite di un manicomio, il cui asettico interno si compenetra, con un felice accostamento di senso, a quello di un bagno pubblico. E l’ “esistenza” della bella regina, se tale appellativo può essere dato ad una mostruosa e coatta segregazione, si snoda attraverso frenetici impulsi auto-dilanianti e gelide risate, il tutto sotto il segno di una triste e dolorosa malinconia: per la condizione stessa della regina, per i suoi patetici sogni di riscatto, e, in ultimo, per noi stessi spettatori, crudi occhi che scrutano senza ritegno l’intimo svolgersi di un caduta...
Ma i piani innalzati dal trio Farina-Battiston-Miele sono numerosi: gli squarci, improvvisi, di violenza, portano la protagonista sui sentieri del folle vaticinio –o razionalità estrema- permettendogli, ad esempio, di sciogliere la profezia riguardo il suo futuro e quello della sua stirpe, legati a doppio filo alla sua nascita violenta, in un accostamento di follia-ragione che tanto ricorda le nefaste visioni dell’eschilea Cassandra; o ancora, il delirio di voci provocate da Semiramide e con cui lei stessa dialoga richiamano alla mente l’iconoclasta e sfaccettata figura della regina stessa–regina, guerriera, amante e madre assieme-, in un turbinio di personalità e volti che rimandano sempre e soltanto a lei stessa –in un crescendo emotivo incalzante, Semiramide raggiunge un’estrema e totale consapevolezza, tale da declamare un falso finale per poter soltanto ricevere gli scroscianti applausi del pubblico...
I colpi di stiletto all’attuale società non mancano: dalla reclusione forzata che si traduce in abbruttimento mentale e fisico –nei trenta anni della legge Basaglia- allo stritolamento imposto da ogni forma di potere costituito –nell’antichità il Regno, oggi lo Stato-, passando per l’imposta inferiorità della donna e le difficoltà di un’esistenza segnata dall’infausta situazione sociale in cui si è nati. La caustica e fisica ironia della brava Consuelo Battiston permette di attraversare tutto ciò senza inutili e retorici impedimenti, laddove, al contrario, la regia di Gianni Farina esita di fronte alla direzione da assegnare allo spettacolo. Spettacolo che si nutre fino alla saturazione dell’idea iniziale –e delle sue pur numerose ramificazioni prima indagate- senza cercare di superarle per nuove prospettive di senso, impreviste circuitazioni, specchiandosi incessantemente in un’estetica accattivante ma priva di tenuta sulla lunga distanza. Semiramis, stavolta si, paga dazio per una spettacolarizzazione non risolta frutto probabilmente di una maturazione non ancora pienamente raggiunta, ma foriera, viste le premesse, di interessanti, e potenti, future visioni.
Con: Consuelo Battiston Scenotecnica: Attilio Del Pico Costumi: Elisa Alberghi Macchinista di scena: Alessandro Miele Regia: Gianni Farina Coproduzione: Festival Es.Terni 2007 - Dimora Fragile Con il sostegno di: Casa del teatro di Faenza Web Info: Rialtosantambrogio, Menoventi, Loro del Reno, Festival Es.Terni