Senza Lucio

Lucio Dalla è stato artista schivo e profondo, delicato e abissale.
Le sue canzoni sono state testi rotondi per una voce graffiata dal dolore. Piccoli scrigni di morbido velluto su un letto sempre umido di lacrime.
La sua musica era un rincorrersi di onde perennemente in cerca di mare. Bella nella sua semplicità essenziale, nella sua ispirazione a un passo dal silenzio.
La cosa più giusta che si può scrivere su un film come Senza Lucio, il documentario realizzato da Mario Sesti a due anni dalla scomparsa del grande cantautore, è che davvero cerca a ogni passo di essere come l’uomo che racconta: semplice e caldo, riservato eppure generoso.
Senza Lucio è proprio come una canzone di Dalla: lineare e piano, costruito su una metrica perfetta che ha il sapore quotidiano della prosa, intessuto di immagini che non suonano elementari solo perché investite da una malinconia discreta e dolce.
Non cerca strepiti, Sesti, non va a caccia di scandalo, né di rivelazioni. Non cerca il punto di vista inedito, ma si mette al di qua di ogni aspettativa nel suo anelito convincente a raccontare l’uomo attraverso l’artista.
Senza Lucio non è un saggio di cinema da parte di un cinefilo, non è opera astratta sul linguaggio, semmai è ricerca attenta di giuste distanze tra il guardare e l’oggetto guardato.
Montando interviste ad amici e conoscenti del cantautore con foto familiari e inedite (per lo più lasciate in concessione da Alemanno che tanta parte ha avuto negli ultimi anni di Dalla e la cui voce ci accompagna per buona parte del racconto senza mai diventarci cicerone) Sesti costruisce un documentario che non vuole dire cose nuove, ma che cerca la bellezza in ogni inquadratura e in ogni voce.
Non sarà, forse, un capolavoro destinato a lasciare un segno nella storia del cinema o della musica, ma resta un solco fondo nel terreno poco fertile dei documentari musicali italiani.
Un’opera paradossale perché ha dentro, alla fine, poche canzoni, ma è intriso di musica sin nel più piccolo raccordo di montaggio. Perché si immerge nel racconto di un’assenza e si riempie, invece, di un senso di persistenza e di presenza. Perché è nel solco di tante opere vuotamente celebrative e riesce a ogni passo a mantenere un’andatura sottovoce. Perché racconta una vita senza per questo scadere nel biopic buono per tutte le stagioni.
Il suo maggior merito non è in quello che racconta, ma in quello che sa tenere nascosto nelle ellissi. Dice, forse, poco, ma lo dice piano e bene. E ci lascia con un senso di rimpianto che non fa male, ma, quasi quasi, un po’ consola.
(Senza Lucio); Regia: Mario Sesti; fotografia: Pablo Irrera; montaggio: Claudio D’Elia; musica: Teho Teardo; produzione: Unipol Biografilm Collection, I Wonder Pictures, Erma Production; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Italia, 2014; durata: 86’
