Sfida senza regole

Nel 1974 fu l’intreccio a separarli nel tempo e nelle inquadrature - Bob nei panni di un giovane Vito Corleone, Al in quelli del figlio Michael. Decenni dopo, 1996, Michael Mann cuce intorno ai due un capolavoro che ha il nome di Heat - La Sfida e li separa nella carriera – uno poliziotto, l’altro rapinatore. Seduti a un tavolo di un bar si riveleranno facce della stessa, malinconica medaglia. Ma nella realtà quella scena entrata nelle cineteche della storia, Bob e Al non la realizzarono mai insieme, la post-produzione unì i due girati dando l’illusione del sacro incontro. I nodi, si sa prima o poi vengono al pettine e il 2007 verrà anche ricordato per l’anno in cui i due mattatori girarono un intero film insieme, per giunta entrambi come poliziotti. A New York un serial killer fa giustizia da sé, colpendo criminali di ogni sorta e rango, lasciando sui cadaveri ancora caldi delle poesie in rima a suggello della condanna a morte. Due pluridecorati e un po’ bolsi detective dovranno districare la matassa, tra sospetti e giovani poliziotti in cerca di fama.
L’emozione del cinefilo di fronte al film caro all’aneddotica della settima arte si spegne ben presto di fronte a due ostacoli che pesano come macigni. Primo: un intreccio malauguratamente piatto, stantio, senza veri picchi da thriller poliziesco. E dire che dietro la macchina da scrivere sedeva quel giovane geniaccio di Russell Gewirtz, qui alla sua seconda prova di script dopo Inside Man. Questa si, pellicola avvincente, adrenalinica e soffocante di cui Sfida senza regole in qualche modo è in una sorta di (inferiore) continuità stilistica, se non altro nell’utilizzo del colpo di scena come svolta perturbante e chiave di volta organizzatrice degli elementi qua e là disseminati lungo il percorso. Gli elementi che Jon Avnet (Pomodori verdi fritti, L’angolo rosso) utilizza per creare suspance si restringono alla confessione iniziale, con sguardo in camera e all’attesa del Who’s next. Secondo difetto: la palese sudditanza dell’operazione a siffatte presenze. Tutto è cornice per i due attori, un lungo tappeto rosso placido e tranquillo, una culla preparata, curata per non risaltare troppo rispetto ai volti e alle smorfie dei due Padrini. Si va dalle scenografie esterne di una New York mai interessante, a una fotografia che nulla aggiunge in termini di atmosfera e di perturbazione: di fronte a un intreccio che vorrebbe la doppiezza come cifra stilistica, la zona d’ombra della mente di un assassino seriale che si va a infrangere contro la metà oscura celata dietro la sete di giustizia di ogni poliziotto. Nulla coadiuva lo spettatore ad entrare nella vicenda, tutto invece è indirizzato verso l’ammiccamento per “l’evento” De Niro-Pacino insieme. Gli stessi dialoghi dei due sono espliciti ammiccamenti allo spettatore avido dell’incontro. Viene alla mente, per associazione di idee, il lancio pubblicitario e i flano di Ninotchka, in cui più che la trama o il grande nome, risaltava allora “l’evento” della Garbo laughs. Un film basato, pubblicitariamente, sull’attesa della scena madre, mitizzata e sospesa, mentre intorno il geniale tocco di Lubitch fece il resto. Con la visione di Sfida senza regole, vince la soddisfazione patinata, non il cinema. A tutte le auto, a tutte le auto, codice 1013, cinefilo a terra!
Carlo Dutto
(Righteous kill); Regia: Jon Avnet; sceneggiatura: Russell Gewirtz; fotografia: Denis Lenoir; scenografia: Tracey Gallacher; montaggio: Paul Hirsch; interpreti: Robert De Niro (Detective Tuk), Al Pacino (Detective Rooster), Curtis “50 Cent” Jackson (Spider), Carla Gugino (Karen Corelli), John Leguizamo (Detective Perez), Donnie Wahlberg (Detective Riley), Rob Dyrdek (Rambo); produzione: Millenium Films; distribuzione: 01 Distribution; durata: 101’; origine: Usa, 2007; webinfo: www.movieplayer.it/sfidasenzaregole
