Shahada - Berlino 2010 - Concorso

Per ritrovare nel concorso principale della Berlinale un film tedesco
che fosse al contempo il saggio finale di un corso di scuola di cinema
bisogna tornare indietro di un quarto di secolo, correva l’anno 1984,
il film si intitolava 1997 – il principio dell’Arca di Noè e il regista era Roland Emmerich, allora laureando alla scuola di cinema di Monaco. Il film che era costato più di un milione di marchi, a Berlino non vinse niente, ma venne venduto in 20 paesi del mondo e riprese abbondantemente le spese di produzione. Nella 60esima edizione quest’onore è toccato a Shahada (qualcosa come “Atto di fede” oppure “Credo”) del regista Burhan Qurbani, figlio di genitori afghani emigrati in Germania nel dicembre del 1979, poco prima che le truppe dell’Armata Rossa entrassero a Kabul. Qurbani è nato l’anno dopo in Germania e ha studiato alla scuola di cinema di Ludwigsburg, vicina a Stoccarda, rivelatasi negli ultimi anni una delle migliori in Germania.
Pur girato per larghe parti in interni, il film è ambientato a
Berlino. Esistono due tipologie dominanti di film berlinesi dell’ultimo decennio: i film di quartiere - radiografie spesso un po’ minimaliste di un biotopo sociale (pensiamo a Sommer vorm Balkon di Andreas Dresen del 2005 o a Knallhart [Tough enough] (2006) di Detlev Buck – e poi ci sono i film poli-prospettici che raccontano la capitale “normalizzata” dopo quarant’anni di divisione come se fosse
la Los Angeles di Short Cuts o di Crash – il citato Dresen ha girato
nel 1998 uno dei migliori film di questo genere, s’intitola Nachgestalten (Figure notturne), purtroppo non è mai arrivato in
Italia, ma se ne potrebbero menzionare molti altri: l’intento è quello di fornire un ritratto caleidoscopico di una città vivacissima e multietnica. Shahada rientra nella seconda categoria, è forse il primo film poli-prospettico berlinese di argomento quasi interamente musulmano. Due sono i set principali in cui la pellicola è ambientata, all’epoca del ramadan: un centro islamico a Kreuzberg, frequentato da quasi tutti i personaggi del film, e i mercati centrali, dove lavorano quattro di loro. E tre sono le storie che si raccontano nel film. La prima è quella di Marjam, una ragazza turca che esce traumatizzata nel corpo e nella psiche da un aborto procurato e cerca una via di uscita riavvicinandosi all’ortodossia musulmana con un millenaristico fanatismo che lascia interdetta l’intera comunità, soprattutto il padre Vedat, l’imam illuminato e tollerante che guida le letture del Corano; la seconda è quella del nigeriano Sammi che scopre con profondo strazio le proprie pulsioni omosessuali nei confronti di Daniel, un coetaneo tedesco, e solo dopo aspri tormenti si risolve a chiedere consiglio e sostegno all’imam di cui sopra che lo incoraggerà a seguire la legge del desiderio, senza grandi risultati, a dire il vero; la terza è la vicenda del poliziotto Ismail, sposato con figlio, che vive una storia d’amore intrisa di senso di colpa e di voglia di espiazione con una ragazza bosniaca clandestina, a cui per sbaglio ha ucciso il compagno e il feto che portava in grembo, salvo poi scoprire che sia l’una che l’altra cosa hanno gettato nello sconforto più lui della donna vittima. Il fatto che le tre vicende si svolgano all’epoca del ramadan radicalizza forse i conflitti, ma non sposta più di tanto la questione di fondo, che è un po’ sempre la stessa, ossia come riuscire a reagire ai sensi di colpa, come riuscire a conciliare pulsioni e fede, regole ataviche e modernità. Il film che pure dimostra un buon talento registico (anche se Qurbani è un po’ troppo incline alla deissi: diversi primi piani o zoom a mo’ di punti
esclamativi) mostra chiari limiti soprattutto sul piano della sceneggiatura: troppo ripetitiva, troppo patetica, troppo inutilmente savant, per esempio nel ricorso a capitoli e sottocapitoli, una suddivisione che non convince, intendendo suggerire una
complessità che il film di fatto non ha.
Nella sezione “Perspektive deutsches Kino”, dove spesso qui a Berlino
vengono presentati i saggi finali o addirittura i mediometraggi di secondo/terzo anno, Shahada non avrebbe sfigurato; nel concorso,
francamente, il film stona un po’.
(Shahada); Regia: Burhan Qurbani; sceneggiatura: Burhan Qurbani, Ole Giec; soggetto: Burhan Qurbani; fotografia: Yoshi Heimrath; montaggio: Simon Blasi; costumi: Irene Ip; interpreti: Maryam Zaree (Maryam); Jeremias Acheampong (Sammi), Carlo Ljubek (Ismail), Marija Skaricic (Leyla), Sergej Moja (Daniel), Vedat Erincin (Vedat); produzione: bittersuess pictures, ZDF, Filmakademie Baden-Württemberg; origine: Germania; durata: 90’.
