X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Shoot’em up

Pubblicato il 13 aprile 2008 da Gianluca Cassetta


Shoot'em up

Shoot’em up: mai titolo fu più azzeccato per quella che si presenta come una pellicola chiara sin dall’inizio, trasparente e ritmata: se non spari muori. E il forte ritmo impresso alla narrazione sembra essere dettato dall’esplosione delle pistole, che lanciano in aria il pentagramma di una sinfonia fatta di proiettili e traiettorie mortali.
Eccessivo, sarcastico, surreale e dotato di una forte ironia che disegna bene gli intenti di regista e produzione, il film, ad un primo approccio, sembra presentarsi come uno di quegli action movie videogame sparatutto ammazzatutti. Ad uno sguardo più attento, però, ci si accorge che la pellicola è dotata di un apparato critico interno che non ne fa soltanto un clone di Call of duty e giochetti vari. Sembra, anzi, che il regista voglia disegnare le regole del genere per poi metterle in discussione, accentuandole, caricandole di ironia e parodiando spesso le situazioni e gli eroi tipicizzati della storia del cinema. Ogni situazione finisce così per essere immersa in una sottile comicità tipicamente americana, che per certi versi sembra farci dimenticare la tragedia che sta avvenendo davanti ai nostri occhi.
Il film si presenta dunque come una successione di scene mozzafiato – spinte al limite del verosimile – ben incastrate e caricate come i proiettili nel caricatore delle pistole. E come tali esse vengono letteralmente sparate contro lo spettatore, che le assorbe e allo stesso tempo ne viene assorbito, in una partecipazione che diviene quasi azione, che porta i muscoli a tendersi, i tendini a comandare i movimenti, quasi a cercare le pistole nelle nostre tasche.
Un film rock, un film dark, un conventionale e non conventional (allo stesso tempo) thriller: musiche di atmosfera grunge e Heavy metal, ambienti bui e città che nascondono luoghi in cui la gente muore senza che nessuno se ne accorga.
Sono uomini soli a popolare questi ambienti: eroi solitari che combattono perchè si trovano coinvolti senza sapere bene in che cosa, prostitute e criminali, figli quest’ultimi dello stesso potere che dovrebbe combatterli e che invece è su di loro che si va a fondare.
Un uomo, conosciuto soltanto con il nome di Mister Smith, ben interpretato da Clive Owen, si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato. Già dalla prima scena si capisce, infatti, che non si avrà respiro. Dopo aver salvato un bambino (che avrebbe dovuto morire), e dopo aver fatto la conoscenza di quello che diventerà il suo antagonista, Mister Herz, interpretato da un Paul Giamatti in grande forma e con un ruolo che sembra davvero essere stato disegnato sulla sua pelle, Smith ricorre all’aiuto di Donna Quintano (Monica Bellucci) per poter dare da mangiare al piccolo e proteggerlo. Salvandolo però si rende conto da subito di aver aperto una vera e propria guerra tra lui e dei nemici che ancora non conosce, che lo porteranno alla fine della narrazione a scoprire la trama ordita dall’alto del potere del senatore americano Rutledge (Daniel Pilon), futuro candidato democratico alle presidenziali, sotto la forte spinta di un uomo senza scrupoli, fabbricante d’armi, Mister Hammerson (Stephen Mc Hattie). Clive Owen è un duro, mangiatore di carote e figlio di tutti quei luoghi comuni volutamente esagerati da Davis (infatti mangia carote perchè fanno bene alla vista e quindi alla sua mira): l’intento sembra essere quello di disegnare un personaggio fuori dagli schemi, uno 007 rovesciato.
Fascinoso, eroe sopra le righe: Mister Smith sa amare a modo suo e allo stesso tempo sa uccidere senza pietà chiunque minacci la sua esistenza e il suo piccolo giardino. Tenera e surreale la scena in cui spiega al neonato come funziona e come si compone una pistola, trattandola alla stregua di un orsacchiotto o di una macchinina. L’impressione che se ne ricava osservandolo attentamente durante tutto il film è quella di un uomo che nessuno potrà mai uccidere, in quanto per certi versi forse qualcosa di lui è già morto da diversi anni. Paul Giamatti invece è un mattatore tout court. Impossibile non seguire i suoi bizzarri ragionamenti e il suo modo di mettere in relazione il privato con il lavoro. Nel privato sembra essere marito e padre premuroso – almeno è quello che traspare dalle tante telefonate che scambia con la moglie – ma nel pubblico sa essere spietato, fortemente grottesco e perchè no, simpatico: in grado di far passare la morte più orribile per semplice lavoro. Fortemente caratterizzato nell’aspetto fisico – occhiali grandi, fibbia grande, pistola grande – mister Herz sembra un personaggio con un insano bisogno di mostrare la sua potenza sessuale per demonizzare una probabile impotenza, con forti accenni necrofili ben filmati da Davis nella scena in cui sembra avere un orgasmo palpando il seno della mamma naturale del bambino, che giace sul sedile posteriore dell’automobile senza vita. Monica Bellucci invece è una prostituta e lavora in un bordello. Bella come sempre, forse – anche se bisognerebbe guardare la versione in lingua originale per capirlo meglio – è stata tenuta da Davis su un registro troppo patetico, a volte quasi fastidioso. È una donna fragile, che ha perso un bambino e si ritrova con un figlio non suo da allattare e crescere senza averlo chiesto, coinvolta dunque da Smith in questa guerra violenta e costretta a scappare per salvare il bambino e se stessa. Dapprima Owen gli troverà rifugio all’interno di un carro armato - un luogo che trasporterà Monica e il bambino all’interno di una dimensione uterina in cui nulla potrà fagli del male – e infine scapperà con un bus di hippies verso un paese sconosciuto e non identificato. Smith e Donna Quintano sono dunque due personaggi erranti, che vagano in una dimensione violenta, apparentemente senza volontà e possibilità di redenzione. Questo vagabondare si conclude con il loro ritrovarsi nell’amore, e proprio grazie al bambino, che li spinge finalmente verso uno scopo ben preciso: uno scopo per cui combattere e per cui vivere – finalmente – insieme. La vita dunque si fa metafora di se stessa: il bambino restituisce quello che avevano perso entrambi precedentemente, li porta a riappacificarsi con se stessi e con il mondo.
Film d’intrattenimento davvero godibile: la durata è ottimale e la pungente ironia di stampo fumettistico ci trasporta in un mondo in cui la gente muore spesso in maniera violenta e tra litri di sangue…e anche se traspare un’ammirazione folle per il fascino dell’arma da fuoco – prettamente cinematografica e simbolo di potenza sessuale – non mancano le critiche a una società e a un popolo – quello americano – che fa delle armi oggetti acquistabili come il pane al supermercato, dimenticandosi che per i proiettili passa la morte.


CAST & CREDITS

(Shoot’em up – Spara o muori); Regia: Michael Davis; fotografia: Peter Pau; montaggio: Peter Amundson; musica: Paul Haslinger; interpreti: Clive Owen (Smith), Paul Giamatti (Herz), Monica Bellucci (Donna Quintano); produzione: Douglas Courtis, Toby Emmerich, Cale Boyter; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Usa, 2008; durata: 90’; webinfo: Sito italiano


Enregistrer au format PDF