Shrek e vissero felici e contenti

La saga di Shrek meritava senza dubbio un epilogo migliore o, a dirla tutta, forse non meritava proprio alcun epilogo. Perché, si sa, se si riscalda troppe volte la stessa minestra, per quanto fosse buona appena cucinata, alla fine si rischia di guastarla. Non è una legge scritta, perché di eccezioni ce ne sono, ma spesso vale, così nella realtà come nel cinema. Purtroppo questa regola vale pure per le avventure dell’orco più famoso del grande schermo, quello Shrek che ha cambiato il cinema d’animazione, aggiudicandosi il primo Oscar della storia in questa categoria con la sua anima irriverente e parodica. Shrek e vissero felici e contenti, infatti, pur mantenendo lo stesso spirito dei precedenti episodi, perde in originalità, in ironia, in idee, in brillantezza. I primi segnali di involuzione si erano già intravisti in Shrek terzo, più debole rispetto ai primi due capolavori e sicuramente ripetitivo. Però almeno la storia c’era, la consequenzialità narrativa con l’1 e il 2 non mancava, venivano inseriti nuovi personaggi (vedi i piccoli orchetti figli dei protagonisti) e soprattutto portava avanti le vicende di Shrek, Fiona, Ciukino & Co. Shrek 4 invece ha proprio la sua debolezza maggiore nello script. Il racconto del film non presenta nessun avanzamento nella storia, ma si propone come una parentesi chiusa a sé, una postilla narrativa indipendente da quanto già detto e mostrato. La sensazione che si prova per tutta la durata è quella di trovarsi di fronte a quei classici episodi collaterali alle saghe d’animazioni cinematografiche destinate direttamente all’home video. E neanche l’uso del 3D distoglie lo spettatore da questa idea, perché a parte il prologo, in nessun momento la stereoscopia funziona al meglio: non sorprende mai e soprattutto non dà profondità visiva all’immagine. Insomma, il 3D sta solo nel titolo del film. Eppure l’inizio dell’opera lascia bene sperare: un prologo in flashback molto accattivante per toni e atmosfere con il nuovo personaggio di Tremotino, un’introduzione spassosa e spumeggiante con il montaggio iterativo di scene quotidiane di Shrek alle prese con i peti e le bizze dei figlioletti e la sua fama da star (con tanto di tour organizzato in pullman davanti la sua casa) ed un ingresso nel regno di Molto Molto Lontano con i tutti i vecchi personaggi a partecipare alla festa di compleanno dei piccoli orchi. Poi però tutto comincia a precipitare nel prevedibile con pochi lampi di originalità: ecco la crisi di Shrek, che non si sente più quello di un tempo, snervato dalla vita familiare e desideroso di tornare l’essere che mette paura a tutti e che può farsi le sue amate nuotate nel fango. Ed è in questo momento di confusione personale che si fa “fregare” dal cattivo di turno Tremotino con un contratto magico che lo catapulta in una realtà parallela in cui nessuno lo riconosce più, Fiona è capopopolo della rivolta contro lo stesso Tremotino (diventato re di Molto Molto Lontano), il Gatto con gli stivali è diventato un felino grasso e sfaticato e Ciukino uno schiavo del perfido neosovrano. I momenti divertenti ovviamente non mancano ed il racconto scivola via piacevolmente. Ma se in passato Shrek ci attirava per quel suo animo politically scorret, per quella sua natura di cartoon adulto, per quella sua capacità di prendere in giro tutti e tutto, la chiusura della saga sembra tradire gli intenti iniziali con uno spirito più infantile, più leggero, consolatorio, meno profondo e privo di cattiveria. Un epilogo deludente che ci lascia col sorriso e niente di più.
(Shrek Forever After) Regia: Mike Mitchell; sceneggiatura: Josh Klausner, Darren Lemke; montaggio: Nick Fletcher; fotografia: Yong Duk Jhun; voci: Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona), Eddie Murphy (Ciukino), Antonio Banderas (Gatto con gli Stivali), ; produzione: Dreamwoks; distribuzione: Universal; origine: USA; durata: 93’.
