Silvio Orlando, il talento del non esser belli

La visita di Silvio Orlando all’Università di Salerno, nell’ambito della rassegna Filmidea, ha generato una forte attesa da parte degli studenti, perché molti lo considerano uno dei migliori attori in Italia e per saggiare dal vivo quella pungente ironia del “sempre perdente” che traspare dai suoi personaggi. Gli spettatori e i fan sono spesso inclini ad identificare il carattere della persona con i ruoli interpretati soprattutto se, come nel caso del professor Vivaldi de La Scuola o dell’attendente di Botero ne Il portaborse , si può ritrovare un filo comune ai suoi piccoli eroi dimessi, gli sconfitti ma con dignità, i brutti ma onesti apprezzati in silenzio.
L’attore premiato a Venezia 2008 con la Coppa Volpi per la tragica parte del protagonista de Il padre di Giovanna di Pupi Avati, ha incontrato il 2 aprile gli studenti dell’ateneo salernitano, già impegnato in città con l’opera teatrale “Il dio della carneficina”, piece che lo vede dividere la scena con il bello Alessio Boni. E’ proprio sullo spunto di questa buffa “disparità di favore concessa dalla natura” che vede uno alto e l’altro basso, uno del nord accanto ad uno del sud, che si è giocato l’avvio della mattina con i ragazzi. Orlando ha scherzato sull’invidia che è alla base della relazione con l’attore bergamasco, “più alto, più bello ed ora forse anche più ricco. Ma”, ha proseguito “sul piano dell’esperienza mi difendo ancora bene. Oggi, ad esempio, sono molto maturo sui silenzi, sul far diventare interessante anche il vuoto come il pieno. Quando non è coinvolto direttamente nella recitazione, l’attore può sembrare morto e sono proprio i silenzi i momenti più impegnativi…”. Proseguendo sul suo mestiere, Orlando ha esposto lo scetticismo sull’immedesimazione e sulla presunta schizofrenia d’attore, “null’altro che una malattia…”. Ha poi continuato dicendo che lui lavora su quelle caratteristiche del personaggio che già sente di possedere “ forse il lavoro così è più pigro o ripetitivo, ma sicuramente è anche più sincero…”.
Numerose le domande sul teatro, rifugio d’elezione per Orlando che risponde “oggi mi piacerebbe fare Morte di un commesso viaggiatore (opera di Arthur Miller del 1949 nda) che”, ha commentato, “potrebbe essere più facilmente comprensibile rispetto a quando è stata scritta…”. Sull’origine della passione per la recitazione, ha poi raccontato della sua solitudine giovanile dalla quale è riuscito a fuggire proprio grazie al teatro. E’ seguito un elogio al contatto umano, precisando che “gli altri non devono essere intesi come un ostacolo alla propria realizzazione”. Proseguendo nell’analisi, “questo senso dell’individualismo è nato forse negli anni ’80 con il riflusso e la paura dell’AIDS che hanno eretto un muro fra le persone. Non a caso il web è nato diminuendo e aumentando le distanze…”. A margine del ragionamento su teatro e solitudine, ha ammesso che “l’unico rammarico è quello di non avere molti amici nel mio lavoro…”. Amaramente, fra l’altro, ha anche parlato del rapporto strettamente e necessariamente professionale fra lui e Moretti perché “lui vuole portare in video l’idea che ha in testa e questo alla lunga non porta ad una vera collaborazione. Per questo, per me sarà sempre Nanni Moretti e non solo Nanni…”.
Non potevano mancare le domande degli studenti sul suo rapporto con la “naturale teatralità napoletana” e qui Silvio Orlando non ha tradito il carattere che traspare dai suoi personaggi. “Essendo nato in collina, al Vomero (zona ricca della città nda), Napoli l’ho sempre vissuta non sentendomene parte, così come non sento di appartenere alla tv, al cinema o al teatro. Soprattutto,” ha tenuto a ribadire “mi sento molto lontano dal cliché del classico napoletano arruffone, imbroglione che invece cavalcano in molti. Devi lottare contro certe naturali flessioni alla teatralità ed è stato un lavoro duro”, ha poi concluso. Sempre su Napoli ed i suoi miti, l’interprete ha preso le rispettose distanze anche da Totò che “non è una base facile da cui partire. Io” ha chiarito, “sento di tendere più verso una sintesi fra tragico e comico.”
Ampio spazio lo ha dedicato ad una serie di aneddoti risalenti alle riprese del film Sud di Salvatores, importante perché “mi ha permesso di tornare a lavorare con Gabriele, il regista che con Il Teatro dell’Elfo a Milano mi fece esordire insieme ad altri artisti emergenti come Paolo Rossi”. Il protagonista della pellicola ha poi rivelato quanto fosse rilassata l’atmosfera sul set “lavoravamo con veri carabinieri e collaboravamo con i ragazzi dei centri sociali. Tutto fu così bello che durante una festa vedevi i militari che ballavano al ritmo delle canzoni contro i carabinieri stessi…”.
Altra questione che ha incuriosito l’auditorio è stato il modo di affrontare i momenti di pausa nella carriera. Non senza disagio, Orlando ha assimilato la condizione dell’attore sulla cresta dell’onda a quella di “un bambino vezzeggiato e coccolato mentre cavalca una giostra piena di luci. Quando poi il lavoro finisce” ha proseguito, “le luci si spengono, devi scendere ed arriva il vuoto. Può capitare di trascorrere numerose ed interminabili giornate ad aspettare con ansia che il telefono squilli per un nuovo lavoro. Ma,” ha concluso con una battuta, “l’essere napoletano, per una volta, mi ha aiutato nell’affrontare la disoccupazione, una condizione che noi mettiamo sempre in conto…”.
Alla domanda "Si sente un attore di sinistra?", Silvio Orlando ha lasciato gli studenti di Salerno fra gli applausi con una risposta insieme poetica e sferzante: "Penso", ha detto con un timido sorriso e gli occhi divertiti, "che Hitler dopo aver sterminato ebrei, zingari e omosessuali avrebbe certamente iniziato con i napoletani. Geneticamente non posso essere diverso dall’essere di sinistra. Ma in Italia, la sinistra", ha quindi chiosato, "è come un bellissimo film in bianco e nero. Sarebbe ora di iniziare a girare film a colori...".
