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SIN CITY

Pubblicato il 16 giugno 2005 da Alessandro Izzi


SIN CITY

Quando ci si rapporta criticamente con un film come Sin city la cautela, per il commentatore, è a dir poco, d’obbligo. Quella che viene portata avanti da Robert Rodriguez e da Frank Miller all’interno di questa pellicola è, infatti, un’operazione utopica inaudita la cui portata sulla storia del cinema è molto difficile da calcolare a così breve distanza dall’uscita del film nelle sale e il cui significato assume connotati ambigui che non permettono risposte esaustive.
Piaccia o meno Sin city è un film che ridisegna completamente le coordinate di un genere cinematografico (quello dei film tratti dai fumetti) e che rimette in discussione alcuni degli aspetti della grammatica filmica che, almeno fino a questo momento, erano stati dati per assodati ed indiscutibili.
Trarre un film da un fumetto preesistente era stata, in effetti, almeno sino a questo momento, una pura e semplice operazione di traslazione semantica, un processo che segnava essenzialmente il passaggio di un nucleo concettuale dai codici linguistici tipici dei comics a quelli più propri della grammatica del cinema. In altre parole il film, forse anche per la progressiva mancanza di fantasia che sempre più sembra attanagliare l’industria dell’intrattenimento, si limitava a trarre dai fumetti storie e situazioni, ma li raccontava, comunque secondo le proprie regole grammaticali. Era, insomma, un processo di reinvenzione del testo per molti aspetti paragonabile al processo della traduzione. Certo la traduzione poteva essere più o meno fedele e certo, a seconda dell’indole del traduttore, molti elementi anche importantissimi potevano andare persi nel passaggio o potevano non riuscire a trovare un’adeguata posizione all’interno del codice linguistico ospitante, ma restava fermo il fatto che il film manteneva scientemente una posizione “altra” rispetto ai comics, rivendicava ad ogni passo, nel bene come nel male, una propria assoluta autonomia artistica.
Con Sin city, viceversa, assistiamo non tanto al passaggio di un nucleo concettuale da un codice linguistico ad un altro, ma ad una brutale, assoluta operazione di trapianto di un intero codice linguistico (quello della grammatica del fumetto di partenza) all’interno di un sistema di comunicazione completamente diverso anche se non assolutamente distante (il film).
Robert Rodriguez sceglie allora di ripercorrere, con il proprio film, tutti gli elementi che sono propri della narrazione di Frank Miller arrivando ad inverare un processo creativo per molti versi schizofrenico perché utilizza gli strumenti più elaborati messi in campo dall’industria cinematografica per ricreare i giochi di luci e ombre di una pagina coperta con qualche oncia di inchiostro; perché spinge al massimo il pedale della tecnologia per ricreare il lavoro di un artigiano e perché ricorre al gioco di equipe tipico del film per tradurre l’assoluta solitudine dell’autore di un fumetto che crea al buio di una piccola stanza. Il tutto per un film che dovrebbe essere di Robert Rodriguez, ma porta anche la firma di Frank Miller in un gioco derivativo in cui non si capisce più bene se è il primo a saccheggiare le storie del secondo o non è, piuttosto, il secondo ad usare il primo per far uscire dalla pagina disegnata le sue amate creature.
Rodriguez, insomma, accetta la sfida di raccontare una storia secondo regole grammaticali originali. Trae dalla logica del fumetto la contrapposizione dei bianchi assoluti con i neri profondi, ripercorre l’uso espressionista del colore (che compare a macchie sulle tavole di Miller), accetta un modello narrativo ellittico fondato su inquadrature forti (limitando al minimo ogni possibile sequenza di raccordo) e accetta fin anche l’artificio grafico della pagina nera usato sovente dall’autore del fumetto. Ma, in ultima analisi, la sua operazione è tutta votata alla ricreazione grafica delle tavole di Miller cui il cinema può donare solo il sovrappiù una “durata” esperibile e data una volta per tutte. Il cinema, in altre parole, diventa la messa a morte del fumetto. Le figure di Miller, liberate dalla stasi gelata cui erano confinate dagli angusti limiti della pagina, hanno, allora, la possibilità di librarsi libere per l’aria, ma il loro movimento è solo un breve palpito nello spazio della proiezione e ben presto esse sono obbligate a ritornare in quel nero da cui erano venute fuori. L’illusione del cinema uccide i personaggi del fumetto nel momento stesso in cui sembra donare loro la vita e, se è vero, che il movimento conferisce ai personaggi l’impressione dello spirito è, anche vero, che l’inquadratura cinematografica liberando quel dinamismo che sulla carta c’era solo in potenza, affievolisce, al tempo stesso quella carica di sintesi assoluta della tavola di un fumetto che, e qui sta la sua forza, condensa in un attimo supremo tutta una storia che sta poi al lettore completare a suo piacimento.
Il film di Rodriguez ci fa, allora, spettatori più passivi dell’opera di Miller. È come se l’occhio della macchina da presa leggesse per noi il fumetto, riempiendo al posto nostro i buchi espressivi di cui è sempre fatta la narrazione grafica. Ma a questa lettura sono aggiunti ben pochi i significati ulteriori e non basta ricomporre le tre storie dei fumetti da cui il tutto trae ispirazione secondo un modello a incastri simil tarantiniano per far si che il film acquisti davvero spessore e identità. Se poesia c’è nel film, allora, essa è tutta da ricercarsi nella sublimità dell’impianto grafico, nell’uso assolutamente irrealistico del digitale, e nella scelta sfavillante del cast. E, in più, un paio di momenti di Cinema puro come quasi tutto il segmento di That Yellow bastard con un Bruce Willis estremamente convincente.

[giugno 2005]


CAST & CREDITS

(Sin city); Regia: Robert Rodriguez, Frank Miller; sceneggiatura: Robert Rodriguez; fotografia: Robert Rodriguez; montaggio: Robert Rodriguez; musiche: Robert Rodriguez, Graeme Revell, John Debney; interpreti: Jessica Alba, Mickey Rourke, Bruce Willis, Josh Hartnett, Carla Gugino, Nick Stahl, Elijah Wood, Rosario Dawson, Brittany Murphy; produzione: Robert Rodriguez, Elizabeth Avellan, Frank Miller per Dimension film; distribuzione: Buena Vista


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