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Sin City - Una donna per cui uccidere

Pubblicato il 2 ottobre 2014 da Alessandro Izzi
VOTO:


Sin City - Una donna per cui uccidere

Sin City - Una donna per cui uccidere è, in fondo, poco più che un film replica.
Un’ardita operazione di clonazione in cui quel che conta è l’innesto, l’ibridazione, la capacità di mettere insieme cose in cerca di una perfetta illusione di vita.
Più che la creatura che, caracollante, si alza dal tavolo operatorio, quel che conta sembra essere il laboratorio con i suoi alambicchi, i suoi strani macchinari, i bisturi e le seghe per le ossa.
Non conta il racconto (che comunque era in parte già narrato sulle tavole dei fumetti di Frank Miller), ma il modo con cui si è arrivati a riprodurlo sullo schermo.
Di ogni sequenza ti chiedi non il perché, ma il come.
Guardi un primo piano e pensi al lavoro di color correction che c’è dietro.
Guardi un paesaggio e ti sorprendi a immaginare il lavoro dei tecnici che hanno messo mano al verde delle riprese per rendere un risultato così vicino al fumetto originale.
Ad ogni passo eviti di chiederti la cosa più importante e cioè se sia davvero un film quello che hai davanti e non piuttosto un Frankesntein che muove i suoi passi malfermi nelle selve del nuovo cinecomic virtuale.

Nove anni fa il primo Sin City era sembrato un’operazione ardita e innovativa. Un tentativo assai riuscito di ridisegnare le coordinate del genere cinefumettistico alle soglie del nuovo millennio facendo la cosa che nessuno aveva, fino a quel momento, avuto il coraggio di fare: rispostare l’asse della bilancia a tutto favore del fumetto.
Una strada anti-hollywoodiana che metteva la tecnica al servizio dell’autore primo, della tavola disegnata che diventava così uno storyboard ideale.
Il regista cinematografico, esasperando al massimo la sua dimensione di demiurgo creatore di mondi, si metteva, quindi, al servizio dell’autore del fumetto. La sua massima libertà espressiva era tutta nella generosità di annullarsi nello sguardo dell’altro. L’utopia era costruire non la sua Sin City, ma proprio quella di Frank Miller. Senza cambiarla di una virgola, senza modificarne minimamente la struttura astratta costruita su campi bianchi e neri con sporadiche macchie di colore e poco grigio in mezzo.
In questi nove anni molte cose sono cambiate, ma non la scelta estetica che, a monte del primo episodio, resta immutata anche in Una donna per cui uccidere. Ed è proprio in questa mancata evoluzione che sta il peccato maggiore del film.

Sin City - Una donna per cui uccidere, appare davvero un film prigioniero della sua scelta estetica. Incapace anche del guizzo libertario della sperimentazione su una tecnica nuova (come avveniva per il primo), sembra piuttosto un compito ben eseguito, ma con poca anima.
Come la donna che visse due volte, è un clone destinato comunque al salto nel vuoto. Una replica, appunto, che appare stanca anche malgrado la scelta nuova di un 3D che ci pare meno meraviglioso di quanto non si dica in giro.
Il film, così, funziona (e anche molto bene) nella parte centrale che concentra l’attenzione sulla graphic novel che dà titolo al tutto, mentre si sfilaccia negli episodi di cornice in cui l’anello più debole è proprio quello scritto apposta per il cinema e che vede protagonista Joseph Gordon-Levitt.

Resta la perfezione dell’apparato tecnico. Resta la qualità della fotografia e il cast scintillante. Resta la precisione. Manca, si perde, la cosa più importante del cinema di Rodriguez: la voglia di gioco, la capacità di divertirsi divertendo.


CAST & CREDITS

(Sin City: A Dame To Kill For); Regia e sceneggiatura: Robert Rodriguez, Frank Miller; fotografia, montaggio: Robert Rodriguez; musica: Robert Rodriguez, Carl Thiel; interpreti: Rosario Dawson, Mickey Rourke, Bruce Willis, Eva Green, Jessica Alba, Jaime King, Josh Brolin, Michael Madsen, Clive Owen, Jamie Chung, Joseph Gordon-Levitt, Julia Garner, Juno Temple, Ray Liotta, Jeremy Piven, Christopher Meloni, Dennis Haysbert, Crystal McCahill; produzione: Dimension Films, AR Films, Quick Draw Productions; distribuzione: Lucky Red; origine: USA, 2014; durata: 102’


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