Skellig - Roma 2009 - Alice nella città

Un angelo atipico Skellig, ma lontano anni luce da quelli wendersiani de Il cielo sopra Berlino ad anche dal più leggero e volgare Michael di John Travolta. Quello interpretato da Tim Roth è un angelo sporco, schivo, isolato dal mondo contemporaneo in cui per gli angeli sembra non esserci più posto. Lo vediamo privo di sogni e speranze, chiuso dentro una baracca di legno tra ragni e topi, ormai incapace di fare il suo “mestiere”. Skellig appare come un disadattato, un clochard, un cast away, rifiutato dalla società e relegato ad un’esistenza terrestre totalmente priva di motivazioni. Solo l’incontro con il piccolo Michael lo risveglia dal suo pessimismo e dalla sua tristezza.
Skellig, presentato nella sezione Alice nella città del Festival di Roma, è una storia d’amicizia, di crescita, di speranza. Il film però non si focalizza esclusivamente sul rapporto tra il ragazzo e l’angelo. Anzi, il racconto si dirama nella descrizione di diverse relazioni affettive. Al centro della narrazione non c’è però Skellig, come invece farebbe presagire il titolo. L’angelo ricopre solo il ruolo di deus ex machina; l’unico vero protagonista è il piccolo Michael, giovanissimo ma già maturo, dall’animo innocente ma con il cuore pieno di segreti. E’ lui a tenere le fila della storia, è lui il fulcro emotivo del film. Lo vediamo avvicinarsi all’amore, soffrire per la malattia della neonata sorella, cercare di comprendere i problemi familiari, litigare con il suo migliore amico. Ma soprattutto assistiamo alla sua graduale presa di coscienza, al suo avvicinamento verso un’esistenza di responsabilità, di lotte e di sacrifici.
Il film di Annabel Jankel è una favola moderna che vorrebbe puntare dritto al cuore. Ed in parte ci riesce. Purtroppo però rimane troppo in superficie. L’opera infatti appare a tratti troppo infantile, perché sembra voler arrivare direttamente all’emozione senza approfondire gli innumerevoli temi che pervadono la rappresentazione. La famiglia, il dolore, la colpa, la speranza, la fede, l’amicizia, il rispetto, la sincerità costituiscono un panorama tematico troppo ampio per una favola come questa. Certo, ridurre la sceneggiatura solo al semplice ritratto del rapporto tra Michael e Skellig sarebbe stato poco, però probabilmente avrebbe permesso alla regista di non perdersi in così tanti discorsi assolutamente non necessari. La troppa carne messa al fuoco dalla Jankel rallenta molto il ritmo del racconto, lo rende a scatti, a tratti piatto. Il film, che dovrebbe indirizzarsi soprattutto ad un pubblico giovane, nella parte centrale annoia e si perde in una messa in scena priva di slanci e di invenzioni. Spesso, soprattutto per una fotografia cromaticamente spenta, si ha la sensazione di vedere una fiction televisiva di buona fattura, una di quelle favole pseudo natalizie di cui sono pieni i palinsesti del piccolo schermo.
Anche Tim Roth fallisce. Il suo angelo simil-barbone non trasmette nessuna emozione. La sua espressione non cambia per tutto il film e la sua performance appare vuota, poco sentita, sbrigativa. Una sua migliore interpretazione avrebbe sicuramente giovato alla pellicola la quale, purtroppo senza attenuanti, va ad inserirsi in quella miriade di film per ragazzi facilmente dimenticabili.
(Skellig) Regia: Annabel Jankel; sceneggiatura: Irena Brignull; interpreti: Tim Roth (Skellig), Kelly Macdonald (Louise), Bill Millner (Michael); produzione: Feel Films, Taking a Line for a Walk Productions; origine: Gran Bretagna; durata: 102’.
