SLEVIN: PATTO CRIMINALE

Se mai servissero ancora ulteriori conferme che un genere cinematografico nobile come il noir è stato ormai quasi completamente fagocitato dagli stilemi del pulp, ecco arrivare nelle nostre sale questo pruriginoso Lucky Number Slevin, opera che appartiene esplicitamente a quel filone ibrido e vagamente sopravvaluto iniziato da quel genio della manipolazione che è Quentin Tarantino.
Partendo dalla sceneggiatura molto articolata scritta da Jason Slimovic, il regista Paul McGuigan costruisce un mosaico di personaggi che ispirano endemica simpatia, a partire dallo stralunato Slevin /Josh Hartnett e dalla frizzante Lindsey/Lucy Liu. Come pretende il doveroso tributo al suddetto genere, dialoghi e situazioni in molti momenti divertono e non poco, riuscendo a dotare il lungometraggio di un ritmo interno piuttosto efficace. Anche se eccede un po’ troppo nella definizione di un’estetica vagamente retrò (in un paio di scene non sembra che il film sia ambientato a New York, ma nella Londra dei Beatles), McGuigan dirige il cast con sapida scioltezza, permettendo ad ognuno dei protagonisti in scena di esplicitare al meglio le proprie qualità istrioniche.
Scoppiettante ed inventivo, Slevin: patto criminale ha però due vistosi difetti all’interno della propria struttura narrativa: il primo è probabilmente più grave è quello di un set-up molto lungo, che non permette all’azione drammaturgica di partire al momento giusto; i primi quaranta minuti del film sono infatti una serie di scenette di certo gustose, ma anche fini a se stesse, inutilmente divulgative nel presentare personaggi ed il tono “leggero” della pellicola. L’altro difetto della sceneggiatura sta poi in un finale eccessivamente esplicativo, che deve chiudere tutte le storie aperte in precedenza a scapito del ritmo interno al film: questo genera poi una sorta di ribaltamento dal comico al drammatico, probabilmente disfunzionale ed incapace di incontrare fino in fondo l’empatia dello spettatore. Anche una più dettagliata attenzione ai personaggi di contorno non avrebbe poi guastato: soprattutto il detective Brikowski interpretato dal sempre efficace Stanley Tucci si limita purtroppo a poche, macchiettistiche apparizioni.
Operazione singolare nella mescolanza di stilemi visivi e toni comico/grotteschi, il film di McGuigan possiede una certa freschezza nella presentazione della confezione, nell’interpretazione degli attori e in alcuni momenti di sapido dialogo. La pellicola sarebbe senza dubbio stata molto più incisiva con una maggior attenzione in sala di montaggio, soprattutto per quanto riguarda l’incipit e la soluzione della vicenda narrata. Slevin: patto criminale rimane quindi un’opera divertente ma fondamentalmente incompiuta, a causa di una certa pesantezza narrativa che mal si accorda con la materia trattata.
Lucky Number Slevin, Usa, 2006
Regia: Paul McGuigan; soggetto e sceneggiatura: Jason Slimovic; fotografia: Peter Sova; montaggio: Andrew Hulme; musica: Joshua Ralph; scenografia: François Seguin; costumi: Odette Gadoury; interpreti: Josh Hartnett (Slevin Kelevra), Lucy Liu (Lindsey), Bruce Willis (Goodkat), Morgan Freeman (il “Boss”), Ben Kingsley (il “Rabbino”), Stanley Tucci (detective Brikowski), Danny Aiello (Bookie); produzione: Chris Roberts, Andreas Gosch, Christopher Eberts; distribuzione: Moviemax; durata: 109’.
