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SOMETIMES IN APRIL

Pubblicato il 18 gennaio 2005 da Antonio Pezzuto


SOMETIMES IN APRIL

Che cosa avremmo potuto fare noi occidentali per evitare il massacro dei Tutsi ad opera delle milizie Hutu? E che cosa avrebbero potuto fare i Tutsi. o gli Hutu? Nel 1994, a partire da quando il 7 aprile un attentato uccise il Presidente Habyarimana, in cento giorni tre milioni e mezzo di persone furono massacrate (a colpi di machete per lo più, i proiettili costano). Sono passati dieci anni, e per “festeggiare l’anniversario” stanno uscendo tantissime pellicole (a Berlino è stato presentato, sullo stesso tema, anche Hotel Rwanda). Film, ed anche libri come quello di David Rieff, concentrati nel raccontare non solo i fatti, ma anche le persone che a questo massacro hanno preso parte. Storie atroci che vengono sviscerate, ricordi aberranti che - con fare da psicologi - giornalisti coraggiosi riescono a far riaffiorare. Trascrizioni di interrogatori in cui, tra le varie frasi sconvolgenti, si legge che i “massacratori” raccontano l’andare ad uccidere come l’equivalente dell’andare a lavorare. Ogni mattino ognuno sceglieva la propria arma, il machete o un bastone, e si recava nei punti di raccolta, dove altre persone davano indicazioni sui luoghi ove compiere il rastrellamento. Nessun pensiero, nessuna morale. Solo un compito da svolgere. Con le radio in sottofondo a dare certezza e forza. Questo accostamento tra il lavoro e l’uccidere, c’è anche nel film di Raoul Peck, haitiano (è stato anche Ministro della Cultura) professore universitario, autore di diversi film che analizzano il mondo contemporaneo africano e tra questi nel 2000, Lumumba. Sometimes in April non cerca di spiegare qualcosa che non può avere spiegazione, si limita a esibire i fatti, a mostrare la morte di alcune persone, la sopravvivenza di altre. Peck, fa solo vedere, di un giudizio morale, ovviamente, non c’è bisogno, se non per quanto riguarda il mancato intervento degli americani, con la stampa che non capisce se bisogna stare dalla parte degli Hutu o da quella dei Tutsi, insomma chi sono i buoni e chi i cattivi. Potevamo intervenire come sappiamo intervenire: qualche bomba, una missione di pace. Ma non c’era il petrolio in Rwanda, non c’era niente che ci potesse servire. Solo delle persone che appartengono a etnie diverse, e questo perché i colonizzatori belgi decisero che bisognava dividere la popolazione. Dividi et impera. Poi te ne vai, lasci la gente a massacrarsi e, dopo dieci anni, ci produci i film o ci scrivi i libri. Non c’era ragione per quel massacro, non c’era nulla che potevamo fare. O forse il contrario, ci sono milioni di ragioni, ci sono milioni di cose che potevamo fare. Abbiamo scelto di fare la cosa più facile: inorridirci per quello che è accaduto. E meno male che era lontano, meno male che quando vediamo questi film non pensiamo a serbi o a croati o, molto più in piccolo, ai treni dei tifosi che urlano le stesse cose che urlavano i Tutsi la mattina mentre andavano a lavorare, con la stessa musica e gli stessi ritmi. Parole da usare come slogan: “li massacreremo, li massacreremo!”

regia: Raoul Peck sceneggiatura: Raoul Peck fotografia: Eric Guichard montaggio: Jacques Comets interpreti: Idris Elba, Debra Winger, Pamela Nomvete, Carole Karemera produzione: Cinefacto, HBO films durata: 139’. origine: Francia, USA, Rwanda 2004


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