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Sons of Cuba

Pubblicato il 20 gennaio 2010 da Carlo Dutto


Sons of Cuba

Noi cubani lottiamo da quando siamo nati! (un pugile bambino, da una scena del film)

Presentato nella sezione Extra del Festival del Cinema di Roma 2009, Sons of Cuba, in uscita in questi giorni, dopo mesi di partecipazioni a festival di tutto il mondo, è un emozionante, riuscito film che documenta otto mesi di allenamenti e vita privata e collettiva di un gruppo di baby pugili, in preparazione del campionato nazionale tra accademie cubane. Otto mesi di destini e guantoni incrociati, perfettamente registrati da Andrew Lang, 27enne regista britannico che in tre anni di duro lavoro e ricerche ha assemblato questo documentario che assimila in sé numerose rarità, piccoli gioielli. A partire dalle immagini stesse, per cui il giovane regista – racconta a Close Up - ha dovuto penare un anno intero solo per avere i permessi di riprese, tra ostacoli burocratici e impedimenti politici, tra “accompagnatori” sul set, veri e propri vigilantes del potentissimo mezzo che è il cinema.

Fulcro scenografico di questo eccellente documentario è la costruzione fredda e grigia dell’ Accademia della Boxe de L’Havana per atleti under 12. Allenamenti durissimi, docce gelate, diete ferree e poche possibilità di tornare in famiglia. A volte poco desiderio da parte degli stessi ragazzi di tornare in famiglia, tra storie di povertà estreme e difficili convivenze. L’Accademia è non solo una palestra che ha le regole di una caserma di marines, ma è palestra di vita, luogo di convivenza e di crescita. Il “nobile sport” unisce nella disciplina e divide nella competizione, cementa amicizie ed esaspera attitudini caratteriali. Il giovane regista si è ritrovato immerso, dopo anni di ricerche e dopo aver frequentato la EicTv, la scuola di cinematografia della capitale cubana, proprio nella storia dei pugili bambini, un racconto per immagini che si interseca inevitabilmente con la storia del paese e le vicende personali del Comandante Fidel, che nel dolore di una nazione abdicò il 31 luglio 2006. Il trauma di una nazione e la nascita di una nuova Cuba (o la continuazione della stessa?) viene registrata da Lang attraverso i volti atterriti, commossi, silenziosi dei ragazzi dell’Accademia di boxe di fronte al comunicato televisivo. Lacrime che mescolano la sincerità dell’emozione con il naif del credo politico, già iconicamente strutturato anche in giovani bambini. Bambini che si rivelano in tutta la loro maturità, che riflettono sul valore dello sport, sull’accettazione della sconfitta, sull’elaborazione della vittoria e della fama, sul sacrificio personale, ma che ritornano a quella fase per loro naturale del pianto liberatorio, dell’insicurezza e della paura. I Figli di Cuba sono giovani e forti, ma nascondono fragilità, chiedono attenzione senza pretenderla.

Le scene dei combattimenti girate con macchina ferma non lesinano emozioni, registrano pur da lontano fatica e speranze, più esplicite nei primi piani dei volti di baby pugili ma anche del loro secondo padre, l’allenatore, figura-chiave della crescita personale e sportiva dei piccoli campioni. Occhi che sembrano non notare la presenza "altra" della macchina da presa, nell’intimità delle camerate dell’Accademia, nei momenti privati famigliari a contatto con genitori e parenti. In questo la levità della mano registica fa sentire tutto il suo peso autoriale, restando fuori dalla scena, vivendo le ansie e le felicità dei bambini e registrandole con il cineocchio del regista simpatetico. Tra sogni di gloria, le olimpiadi come dolce chimera e motore di entusiasmi, Lang senza mai comparire, senza mai forzare eventi e reazioni, senza rendersi protagonista, ma anzi restando lieve dietro la macchina da presa, coadiuvato da una troupe completamente cubana, non racconta solo di boxe, di sudore e lacrime di alcuni bambini straordinari, ma racconta di un paese, Cuba, che vive nella certezza di pilastri forti e saldi, di una democrazia a metà, divisa tra la censura di Stato e i grandi slanci patriottici popolari, fieramente anti-capitalisti. Racconta un aspetto inedito e nascosto, a volte doloroso, spesso commovente, di un paese diviso tra ansia di democrazia, baracche e sogni distrutti – il padre di Cristian ex campione olimpico ridotto in miseria - ma anche un paese di entusiasmi e sogni che si avverano. Sons of Cuba apre il ventaglio di visioni su valori universali, che trascendono confini e oceani: l’amicizia come caposaldo dello sport e quindi della crescita, una amicizia fatta di grandi slanci e di brucianti delusioni, una amicizia che resiste anche all’incontro di boxe con il proprio miglior amico. In palio, la partecipazione al campionato nazionale, faro primo di una carriera in parte già scritta nelle parole, negli occhi e nei guantoni di Cristian, protagonista schiacciante indiscusso della palestra, di cui lo spettatore segue con passione il climax verso la vittoria finale. Vedremo Cristian e il suo sguardo di bambino adulto sicuramente alle Olimpiadi londinesi del 2012. Intanto, dopo la sapiente scelta di acquisizione da parte della Fandango, ci auguriamo di trovare questi atletici, splendidi, entusiasti Figli di Cuba agli Oscar che si avvicinano. Si sa che la sezione Extra porta bene, lo hanno già sperimentato Taxi to the dark side e Man on wire

[Carlo Dutto]


CAST & CREDITS

(Sons of Cuba) Regia: Andrew Lang; fotografia: Andrew Lang, Domingo Triana Machin montaggio: Simon Rose ; musica : Jack Ketch; interpreti: Yosvani Bonachea (allenatore); Cristian Martinez detto The Old Man, Santos Urguelles detto The singer , Junior Menendez detto The Dalmation (baby pugili); produzione: Andrew Lang, Francine Heywood, Laura Giles, Mandy Chang per Windfall Films; distribuzione italiana: Fandango; origine: Gran Bretagna 2009; durata: 88’; webinfo: Sito ufficiale del film


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