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Spanglish

Pubblicato il 17 aprile 2005 da Alessandro Izzi


Spanglish

James L. Brooks è un regista delle piccole cose, dei piccoli momenti, dei gesti improvvisamente significativi. Soprattutto è un regista che ama mettere in scena una situazione apparentemente immutabile e mostrare come sia attivo, invece, al suo interno il principio ineludibile del cambiamento. Forse poeta non è la parola più giusta per un regista che, tutto sommato non supera mai i confini di una confezione garbata che deve molto della sua riuscita all’abilità degli attori, ma, se ci si passa la metafora, non ci vuole poi tanto a dire che, alla fin fine, Brooks è il poeta dei mutamenti carsici dell’esistenza, il cantore della lenta erosione dell’Io ad opera dell’azione incontrollabile di quegli altri che ci piacerebbe tanto tenere lontani, ma di cui non possiamo fare a meno tuttavia. Caratteristica costante del cinema di Brooks è, quindi, l’idea che il cambiamento, per quanto doloroso è, comunque, un ingrediente necessario della nostra esistenza. I suoi personaggi, spesso confusionari, sempre bizzarri e perfetti esponenti di un mondo a sua volta bizzarro, sono quindi sempre assolutamente consapevoli del bisogno di trasformare la propria condizione sentimentale che può essere tanto statica (come era il caso del Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato) quanto cineticamente incontrollata (come nel caso, appunto, di Spanglish), ma che resta sempre e comunque viziata da una sostanziale insoddisfazione di fondo. Ad essere messo in scena è sempre, quindi, un processo evolutivo lineare che va da un inizio sempre percepito se non altro come grottesco ad una ricomposizione, sia pure parzialmente ambigua, dell’universo relazionale dell’Io protagonista. Per quanto legato alla pratica dell’happy end, ci è, infatti, sempre molto difficile definire tanto a cuor leggero come felici le risoluzioni scelte dal regista. Nelle sue mani, quindi, un tema serio che altrove si presterebbe a tragedie esistenziali e ad abissali momenti di introspezione, prende le forme costanti di una commedia leggera e mai veramente acidula che stempera nel sorriso appena accennato i turbamenti che possono derivarci dall’esserci accostati a un tema tanto delicato quanto difficile del nostro rapporto con il mondo esterno. Anche nel caso di Spanglish che, fin dal titolo rivela la sua precisa ambizione a voler investigare la difficoltà di relazione tra due culture assolutamente distanti (da una parte quella messicana e cattolica della protagonista dall’altra quella americana della famiglia che la assume a servizio) e che travalica ben presto il suo punto di partenza sociologico per trasformarsi in un’opera sulla difficoltà di una reale comunicazione interpersonale, il discorso, sulla carta apparentemente complesso, si risolve ben presto in niente più che una commediola di buon profilo. Certo molto viene speso nel tentativo di restituire un universo sentimentale alla deriva dove le emozioni dei singoli personaggi si perdono nel mare magnum dell’incomprensione, ma resta sempre chiaro che il vero gap che intercorre tra i singoli individuo non è tanto o, comunque, non è solo linguistico, ma riposa tutto nella segreta tragedia che alla fin fine noi tutti non siamo altro che monadi isolate, che il nostro mondo interiore non può essere comunicato agli altri in nessun modo e che ogni tentativo di comunicare la nostra essenza a chi ci sta accanto può produrre una comprensione sempre e solo parziale. Perché allora tutto questo non riesce a convincere fino in fondo? Forse perchè a non convincere fino in fondo è proprio la commistione tra i problemi messi in scena e l’aproblematicità dello sguardo che li contempla. Forse perché abbiamo l’impressione che per il regista autore il cinema non sia altro che una pietra filosofale capace di trasformare davvero la filosofia in intrattenimento. Ma qualsiasi sia la risposta resta certo che questo, in fondo, è solo un problema nostro.

(Spanglish); Regia: James L. Brooks; sceneggiatura: James L. Brooks; fotografia: John Seale; montaggio: Richard Marks; musica: Hans Zimmer; interpreti: Adam Sandler, Tea Leoni, Thomas Haden Church, Paz Vega, Cloris Leachman, Shelbie Bruce; produzione: Columbia Pictures Corporation, Gracie Films distribuzione: Columbia Tristar

[aprile 2005]

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