Splice

Elsa e Clive sono, nella finzione di Splice, due genetisti affamati di successo.
Ma, nel mondo al di qua dello schermo, sono anche due nomi che i cultori del genere conoscono bene: il primo è quello di Elsa Lanchester indimenticabile icona del cinema horror entrata nella memoria collettiva grazie al doppio ruolo (Mary Wollstonecraft Shelley e la moglie della Creatura) che James Whale pensò per lei, il secondo è, invece, il cognome di Colin Clive che dell’attrice fu compagno di lavoro sullo stesso set. Il film galeotto di questo incontro di nomi è, naturalmente, La moglie di Frankestein, pellicola epocale capace di fondere un humor amaragnolo a preoccupazioni etiche e sociali che andavano ben al di là del testo di partenza della Shelley da cui pure tutto proviene.
La chiave dell’omaggio è, sin qui, anche troppo palese. Vincenzo Natali richiama alla memoria il più memorabile dei film di rianimazione dei defunti e si interroga, come faceva Whale quasi ottanta anni fa, sul senso del lavoro dello scienziato e sull’etica della sperimentazione.
La differenza fondamentale la fa tutta il contesto. La moglie di Frankesntein svettava sul 1935 dell’inizio delle legge razziali e della fuga dei cervelli dalla Germania a Hollywood. Come pellicola si nutriva delle brume dell’espressionismo tedesco ormai museificato e cercava una via statunitense al fantastico. La genetica gli interessava come passaggio per definire le linee dell’evoluzione della specie (Darwin faceva ancora fatica ad essere insegnato nelle scuole, problema ancora attuale in certe regioni americani tenacemente creazioniste) e non per le possibilità della manipolazione e della creazione di nuovi “mostri”. Il centro dialettico della pellicola, che pure metteva in scena ominidi lillipuziani ed esperimenti alla Invisible man, restava il problema insoluto di quanto blasfemo potesse essere ridar vita a tessuti morti. Sull’anima che quei tessuti doveva riabitare, ad ogni modo, avrebbe detto di più e meglio Fisher trenta anni dopo.
Vincenzo Natali vive, invece, sullo scetticismo del nuovo millennio. Per lui, come per i maggiori genetisti contemporanei, il problema etico trascende motivazioni di carattere religioso e si appoggia tutto sulla nobiltà delle motivazioni che spingono alla ricerca. Da questo punto di vista Clive ed Elsa falliscono non perché operano in territori che dovrebbero restare estranei all’agire umano, ma perché ci si avventurano portandosi dietro debolezze da studentelli ed ambizioni personalistiche.
Si divertono a far da creatori consapevoli che i primi genetisti della storia furono Adamo ed Eva e come loro si apprestano a dare un morso alla mela della conoscenza pur sapendo che questo li scaccerà dal loro personale paradiso dell’Eden che è quel laboratorio che il dio laico della Multinazionale ha creato per loro.
La loro storia segue precise connotazioni bibliche che pochi commentatori hanno debitamente sottolineato. Elsa e Clive dapprima creano una coppia di animali da laboratorio che prima si amano dell’amore delle stelle e poi si affrontano come Caino ed Abele nell’arena, poi mescolano DNA umano a DNA animale in cerca di una nuova creatura da studiare. Ne viene fuori una specie di angelo caduto cui il volo è negato. Un Lucifero portentoso che agisce mediante il sesso (seduce dapprima Clive, poi, cambiato genere, violenta Elsa) e che magnifica le contraddizioni dell’agire umano.
Il rapporto creatore/creatura è lo stesso che in Frankenstein con la seconda che chiede al primo, tra le lacrime e la vendetta, il perché sia stata messa al mondo, ma la dinamica filosofica annega in un più ipertrofico bisogno di effetti speciali.
Funzionale sul piano attoriale (ottimi Adrien Brody e Sarah Polley nel rendere i due scienziati con tutte le loro personali debolezze), il film inciampa nelle sue ambizioni speculative perdendosi in una trama troppo lineare per reggere sulle due ore e troppo densa per fermarsi al solo spettacolo.
Peccato perché un certo talento d’autore traspare in queste immagini a metà tra Alien e L’esorcista!
(Splice); Regia: Vincenzo Natali; sceneggiatura: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant, Doug Taylor; fotografia: Tetsuo Nagata; montaggio: Michele Conroy; musica: Cyrille Aufort; interpreti: Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanéac, Brandon McGibbon, Simona Maicanescu, Davi Hewlett, Amanda Brugel; produzione: Copper Heart Entertainment, Dark Castle Entertainment; distribuzione: Videa-CDE (2010); origine: Usa, Canada, Francia, 2009; durata: 104’
