STEP UP

Uscito in contemporanea col ben più ambizioso Dreamgirls, questo Step Up, “musical dei bassifondi”, segue un’altra e ormai altrettanto ben consolidata tradizione del genere nato dai palcoscenici di Broadway: quello appositamente pensato e confezionato per i teen-agers, con protagonisti giovanissimi pieni di grinta e arsi dal sacro fuoco della danza in nome del quale sono spinti a lottare fino a sputare sangue, pur di imporsi (da Flashdance a Footloose passando per il recente Honey). La regista Anne Fletcher (ex coreografa, al debutto dietro la macchina da presa) tuttavia, aspirava a raggiungere stavolta anche il pubblico maschile, da cui la scelta di spostare i riflettori dalla solita protagonista-provetta-aspirante-ballerina di successo, al giovane disadattato senza particolari aspirazioni o sogni (quasi un “clone” del James Dean di Rebel Without a Cause, ancora oggi modello imprescindibile per questo genere di personaggio). A tale identikit corrisponde il personaggio maschile, lo scontroso Tyler, almeno finchè non incontra la bella Nora alla scuola artistica in cui è costretto a svolgere la sua “rieducazione” per aver danneggiato alcuni manufatti dell’edificio durante una notte brava. Nora e Tyler si “notano” reciprocamente per la prima volta solo nel momento in cui ognuno dei due spia l’altro ballare e quindi è in grado di vederlo “a nudo” e carpirne la reale essenza.
L’istituto d’arte, che a prima vista “sembra un museo”, è in realtà invaso quotidianamente da decine di ragazzi indigenti che sfruttano delle borse di studio, ricalcando la famosissima Accademia di Saranno Famosi: la protagonista Nora, poi, sembra quasi una copia-carbone della Nicole di Fame. Viene pure fuori che Miles Davis e Tupac Shakur hanno frequentato questo tipo di scuola, per cui c’è poco da fare gli spiritosi, al riguardo. Nell’anticonvenzionale scuola diviene possibile osservare ragazze punk che studiano danza classica, o ragazzi di colore che suonano il violino, senza che nessuno abbioa niente da ridire, come in un miracoloso tempio della democrazia, dove tutti possiedono uguali diritti e doveri.
Lo schema del film è già risaputo: alle iniziali, reciproche diffidenze tra i due ragazzi dovute alla loro diversa estrazione sociale, si sostituisce man mano una solidarietà e una reciproca simpatia che solo la danza rende possibile. Nonostante le differenze sussistano anche in questo campo, esse finiscono per trasformarsi in una fonte di arricchimento per ciascuno dei due ragazzi (come in Save the Last Dance). Ovviamente il partner di Nora per il saggio subirà un grave infortunio e ne conseguirà, in maniera altrettanto consequenziale, che il suo sostituto dovrà essere proprio il ragazzo rozzo e inaffidabile, ma con un talento fuori del comune per la danza. Si colgono alcune note divertite della regista e della sceneggiatrice Duane Adler (non a caso, già firma proprio di Save the Last Dance), nello schizzare il ritratto di questo poco aggraziato ragazzotto che rifiuta la calzamaglia, salvo poi “accettare” suo malgrado i pantaloni della tuta. Molto simpatico anche il dettaglio dell’”inabilità” ad eseguire alcuni passi di danza classica, causa jeans a cavallo ultra-basso, “divisa d’ordinanza” del cultore dell’hip-hop.
Pericoloso è solo il messaggio messo in bocca alla protagonista: “Se non supero quel saggio a pieni voti, non sono nessuno!” Certo, si risponde, ancora e sempre, alla logica dell’”American Dream”, in nome del quale diventa pure lecito schiacciare o gettare via l’aiuto di chi non si rivela più utile al proprio tornaconto personale (come accade ripetutamente nel film).
La morale è spicciola e manichea e suona più o meno così: “Cari ragazzi dei sobborghi, provate ad ogni costo a sfondare in un campo qualsiasi, ma impegnatevi con tutte le vostre forze o rischiate di fare una brutta fine”. Con il tragico destino del piccolo e troppo precoce Skinny, quasi messo lì, a far da mònito per ciascuno di loro.
Ma la morale non è mai stato il "pezzo forte" di questo genere di film, individuabile piuttosto nella colonna sonora, per cui non è difficile prevedere un clamoroso riscontro di vendite.
(id.) Regia: Anne Fletcher; soggetto: Duane Adler; sceneggiatura: Duane Adler, Melissa Rosenberg; fotografia: Michael Seresin; montaggio: Nancy Richardson; musiche: Aaron Zigman; scenografia: Shepherd Frankel; costumi: Alix Hester; interpreti: Channing Tatum (Tyler Gage), Jenna Dewan (Nora Clark), Damaine Radcliff (Mac Carter), De’Shawn Washington (Skinny Carter), Mario (Miles Darby) Drew Sidora (Lucy Avila); produzione: EKETAHUNA LLC, SUMMIT ENTERTAINMENT, TOUCHSTONE PICTURES; distribuzione: Medusa; origine: Usa 2006; durata: 98’; web info
