Step up 2 - La strada per il successo

Andie balla. Non ha frequentato nessuna scuola. Né è stata presa nel vortice tutto passionale di qualcuno di quei corsi di free style che spuntano come funghi agli angoli delle strade che esistono solo nelle storie edificanti che il cinema americano ci propina ormai a scadenza annuale.
Andie balla perché le va di ballare. Ha qualcosa da dire e, siccome le parole molto spesso non bastano all’ardua impresa, l’unico strumento che le resta è il corpo in movimento. Possibilmente convulso.
Andie non conosce i passi, nessuno le ha insegnato la differenza tra una presa ed un jetee. Ma quando l’urgenza di dire sopravanza così tanto ogni altra considerazione, questi diventano dettagli superflui, buoni solo per le accademie. Non occorre un maestro per imparare perché il ballo è una questione di istinto: un brivido che passa lungo la schiena e convoglia l’energia trasformandola in ritmo. Neanche la strada le ha insegnato qualcosa. Frequenta le persone di colore perché , si sa, loro ci hanno il ritmo nel sangue (ma anche il senso del possesso, la voglia di avere una donna tutta per sé che non si metta le gonne quando i maschi sono al bar) e la sua migliore amica è sudamericana perché si sa che quando c’è da sambare nessuno batte la calienza de la pasion.
Così, di stereotipo in stereotipo, Andie saltella, felice come un canguro col figlioletto nel marsupiale, e sfoga la sua voglia di sogno senza uno scopo. Se balla è perché non sa fare altro e nella vita quotidiana lei ci si annoia di brutto. Lo studio le sa troppo di ben educato e non si sposa bene con le scorrerie nelle metropolitane a far graffiti sui muri (ribellismo ormai degradato al ruolo di moda dell’anno scorso visto che ci fanno film anche qui in Italia) e a ballare davanti alle facce sconcertate dei benpensanti che tornano a casa dalle mogli e dai mariti, soffocati nel pregiudizio borghese.
Ha talento Andie. E di fronte al talento noi si deve solo alzare le mani in segno di resa, perché non c’è regola che tenga. Il talento non lo impari, ma, secondo le norme del defilippismo imperante, neanche lo educhi perché ad imbrigliarlo nei precetti e nella tradizione, tu gli fai violenza. Il talento parla la sua lingua, se non è la tua non è un problema suo. Non lo puoi giudicare, non lo puoi incasellare, lo devi prendere come ti viene. Se ti lascia perplesso, se lo rifiuti, sei un dinosauro vecchio stampo, troppo vecchio per fare la differenza.
Il talento, infine, non lo metti nelle scuole. Sono semmai le scuole a doversi piegare al suo ingombro, a doversi genuflettere condiscendenti e grate abdicando alla loro funzione che è insegnare. Diventate inutili, superflue, le istituizioni scolastiche non sono niente più che edifici: ti mettono un tetto sulle teste, ma hanno perso ogni sintonia col presente. Son buone per farci, fuori dell’orario, le prove di spettacoli da strada, ma di giorno son popolate da professori che non capiscono gli studenti, che li violentano ripetutamente coi libri e con le note disciplinari. Così il coreografo lo mettono a suonare Bach al violoncello e la ballerina, teschiomunita, deve solo imparare la scena del cimitero di Amleto. Peggio di così!
In una scuola di questo tipo Andie ci sta male. Ed è una scuola d’arte! Ancora ai tempi di Saranno famosi (e parliamo della serie TV, mica dell’omonimo film) una scuola d’arte era il sogno di chiunque volesse sfondare nel mondo del canto. Oggi anche quelle non funzionano più tanto bene. Il tempo le ha istituzionalizzate un po’ troppo ed ora insegnano che per danzare ci vuole sangue e sudore: un messaggio troppo faticoso per le platee di oggi che vogliono sfondare faticando solo come Paris Hilton.
Così si arriva all’assurdo: a scuola ad Andie chiedono di improvvisare un pezzo di danza, ma, cretini come sono, le danno come base una musica imballabile (e beh!: Non era hip hop!). Lei vorrebbe ribellarsi, ma c’è l’espulsione dietro l’angolo quindi si quieta un poco e qualche passo di danza comincia pure ad impararlo. Ma diciamocelo francamente: quei passi non servono a niente come pure i professori che vorrebbero insegnarli. Non l’abbiamo già imparato abbastanza dal modo in cui ogni loro funzione è svilita in Amici di Maria De Filippi? Tra l’altro questo è un film che esce subito dopo l’ultima puntata della fortunata trasmissione: un caso?
Ma Andie sta male anche per altri motivi: a scuola tutto sommato una vita se l’è fatta. A fianco di altri al par di lei sfigati, ha costruita una combriccola che non chiede altro che di ballare per le strade. E sta divisa tra due mondi: quello nuovo dei borghesi studiosi d’arte e quello vecchio degli amici d’infanzia. Sono i Capuleti e i Montecchi del nuovo millennio e il Romeo di turno è un ballerino che ha fatto il pas de deux prima ancora di imparare a dire “pappa”. Nella culla. Così alle preoccupazioni del ballo ci si aggiungono i palpiti del cuore col lieto fine (per tutti e due) che non lo metti in dubbio mai per un momento.
Così il film ti scorre addosso, tra un numero coreografico e l’altro (e son pure belli, ammettiamolo) e durante la proiezione non c’è una cosa che ti si fermi negli occhi, figuriamoci nel cuore! Meglio così. Le brave ragazzine hanno modo di commentare da par loro i vestiti indossati dai personaggi e di rispondere al telefono. Mentre i ragazzini possono concentrarsi su come cominciare a limonare con le amichette che si son portati dietro. Volevate, forse, ascoltare i dialoghi del film tra cellulari che squillano e gare di acchiaparella tra le poltrone? Fidatevi: meglio di no!
(Step Up 2 the Streets); Regia: Jon Chu; sceneggiatura: Toni Ann Johnson, Karen Barna; fotografia: Max Malkin; montaggio: Andrew Marcus; musica: Aaron Zigman; interpreti: Briana Evigan (Andie), Robert Hoffman, (Chase Collins), Adam G. Sevani (Moose), Cassie Ventura (Sophie), Will Kemp (Blake Collins), Danielle Polanco (Missy); produzione: Offspring Entertainment, Summit Entertainment, Touchstone Pictures; distribuzione: Moviemax Italia; origine: USA, 2008; durata: 98’
