Superman returns

Il Superman versione Singer sembra essere tutto racchiuso nella metafora del volo e della visione (o dell’ascolto) dall’alto.
Tra tutti i superpoteri di cui è dotato il personaggio, l’unico ad essere restituito con momenti di incantata suggestione è proprio quello della sconfitta della forza di gravità (di qui anche il senso dell’unico flash-back dell’infanzia del giovane Kent con i balzi repentini e con la caduta arrestata ad un palmo da terra); gli sprazzi di poesia (troppo rari, purtroppo) sono proprio legati alla sospensione di Superman al di sopra degli stessi confini del mondo in una posizione intermedia tra l’istante e l’eternità, tra momento e Tempo.
Il petto d’acciaio che blocca i proiettili, il soffio in grado di spegnere gli incendi più incredibili, la vista a raggi X sono, da questo punto di vista, dettagli noti che possono essere riproposti en passant, senza troppa attenzione.
Il volo, invece, sembra essere per il regista tutt’altra questione. In esso il regista può risvegliare lo stupore bambino per le baracconate, la bocca aperta per l’incredulità di fronte a qualcosa che rifiuta, nonostante tutto, di trovare spiegazioni. Anche perché nel volo è implicito ed indistricabile il suo contrario: la caduta. E basta appena cambiare il punto di vista perché l’uno si tramuti di colpo, di fronte allo sguardo attonito dello spettatore, nell’altra.
Quando Superman è messo di fronte alla mortale nemica kriptonite, si lascia “cadere” tra i flutti di un mare sconosciuto e di colpo nemico. Ed è sempre una lunga, estenuante e dolente caduta a sancire la sconfitta del personaggio che ha, sì, sospinto l’isola della tecnologia aliena nello spazio (in una citazione non sappiamo quanto consapevole del Laputa di Miyazaki), ma, nel farlo, ha dovuto rinunciare a se stesso e alla sua invulnerabilità.
"Volo e caduta di un eroe" potrebbe essere il sottotitolo dell’ultima fatica di Synger regista. Un eroe salvifico il cui fato sembra essere così vicino a quello del Cristo da lasciare allibiti per il tono sacrale che assumono fin troppo spesso le immagini.
Anche se a livello iconografico l’immagine di Superman (già nel fumetto) è più affine all’Atlante che regge sulle spalle il peso del mondo, è da dire che fin dall’inizio del film il personaggio si ammanta di precise valenze cristologiche.
La pellicola inizia, infatti, con il ritorno di Superman dopo cinque anni di volontario esilio nel deserto della tentazione di ritrovare le sue origini e il suo pianeta natale. Fin dalle primissime immagini è la voce del padre a farsi verbo e ad incarnarsi in un figlio destinato ad immolarsi e poi risorgere per il bene dell’umanità in un passaggio di staffetta che si replicherà poi nel melodrammatico finale. L’arrivo di Superman sulla Terra è annunciato da una stella cometa che brucia i campi di grano di Smallville infuocando il cielo come in una profezia biblica. Nell’alto dei cieli, l’alter ego del mite Clark Kent è, sorpreso dalla macchina da presa, come un Dio che ascolta, nel buio della notte dei tempi, le preghiere di un’umanità sempre più allo sbando. E quando, infine, il personaggio cade dal cielo per la salvezza del mondo, lo fa in un segno di croce che si tramuta poi in una sorta di nodo fetale in un’inquadratura che unisce indistricabilmente morte e (ri)nascita.
E nella conciliazione degli opposti, che è la condizione di un personaggio onnipotente come Superman, si ravvisa, alla fine, il senso segreto di una tragedia che non è solo quella di dovere sempre fare i conti con la solitudine che può derivare della consapevolezza di essere l’ultimo della propria specie.
Il Superman di Singer, più ancora di quello dei fumetti (al confronto infinitamente meno problematici) è incredibilmente, e fin dall’inizio, uno sconfitto proprio in virtù della sua eterna onnipotenza.
Il peso della sua missione, sostenuto dai suoi superpoteri, finisce sempre per mettere in urto l’apparente immortalità di un personaggio, cui non è concesso neanche di invecchiare, con l’essere transeunte del mondo tutto.
Superman fallisce come guida spirituale di un mondo corrotto e marcio fin nel midollo (anche nelle piccole cose di tutti i giorni) perché la sua presenza attiva nel farsi della storia non riesce comunque ad arrestare la sete dell’uomo per male e violenza.
Superman fallisce come amante e (super)uomo perché, con tutti i suoi poteri, non riesce a far altro che a cadere in un triangolo amoroso in cui a vincere sull’amore è un senso di famiglia che, oltretutto, poggia sulla bugia e sul compromesso.
Ma soprattutto Superman fallisce nella sua lotta contro il suo vero grande nemico che, alla fine, non è il Lex Luthor da operetta di Kevin Spacey che serve alla pellicola da mero attivatore degli ingranaggi dell’intreccio, ma lo stesso Clark Kent: un uomo borghese, mediocre e sostanzialmente anonimo.
Un nemico invisibile, nel film quasi poco più di una comparsa, ma, nel concreto, tutto ciò che Superman vorrebbe (in virtù della sua palese e desiderabile “normalità”) e non vorrebbe mai (per lo stesso motivo) essere.
È tutto qui il cuore pulsante di una tragedia poetica e magica: il conflitto tra un eroe e la sua stessa (doppia) identità, nel confronto tra l’essere (una persona con i suoi propri sentimenti) e il dover essere (un superoe investito di una missione impossibile), ma, incredibilmente, anche tra l’essere (quello stesso supereroe) e il dover apparire (un Clark Kent qualsiasi).
Il vero problema di questo film è, alla fine, che queste psicologie e queste simbologie non sembrano aver nulla a che spartire con un racconto palesemente squilibrato che sembra sempre ansioso di voler andare da tutt’altra parte.
Ne viene fuori un film dalla doppia anima: una d’autore, con le sue divagazioni spesso di grande portata, l’altra da baraccone illusorio con aerei che precipitano, palazzi che crollano e montagne che sorgono tra mille botti e tanti effetti speciali. E nell’inconciliabilità tra queste due anime si sente tutto il fallimento di un film che sfida la gravità del blockbuster, ma sembra destinato a ricadere solo sulle sue stesse intenzioni.
(Superman returns); regia: Bryan Singer; sceneggiatura: Michael Dougherty, Dan Harris; fotografia: Newton Thomas Sigel; montaggio: Elliot Graham, John Ottman; musica: John Ottman; interpreti: Brandon Routh (Clark Kent/Superman), Kate Bosworth (Lois Lane), Kevin Spacey (Lex Luthor), James Marsden (Richard White), Parker Posey (Kitty Kowalski), Frank Langella (Perry White), Sam Huntington (Jimmy Olsen), Eva Marie Saint (Martha Kent); produzione: Gilbert Adler, Jon Peters, Bryan Singer; distribuzione: Warner Bros; origine: USA, 2006; webinfo: Sito ufficiale
