Tartarughe sul dorso
Strutturato sulla falsa riga di un melò, Tartarughe sul dorso narra la storia d’amore infelice e complicata di due giovani: semplicemente “Lei” e “Lui”, due personaggi reali e concreti e ben costruiti a livello narrativo nonostante l’astrattezza dei nomi. La città in cui si consuma la storia d’amore, storia che risente di forti suggestioni del cinema di Antonioni, è una triste e bellissima Trieste immortalata dalla splendida fotografia di Paolo Bravi. Trieste è una città che fonde molte culture europee proprio come il cinema di Stefano Pasetto che, allievo di Kieslowski e amante del cinema della nouvelle vague, esordisce felicemente con un’opera prima piena di poesia e sotterranee simbologie filosofiche. Il mare autunnale fosco e inquietante è testimone del primo incontro fra i due protagonisti: una sorta di imprinting avvenuto quando i due erano ancora in tenera età. Il bambino alla fine di un’estate balneare dona alla sua futura innamorata una tartaruga. Animaletto che lei conserverà per più di vent’anni dimenticandosi, ma solo a livello cosciente, dell’amico. I due infatti si rincontrano dopo molto tempo e credono di scoprirsi e innamorarsi ma in realtà si sono semplicemente “riconosciuti”. Pasetto non intende enunciare teorie filosofiche sul Karma e sulla predestinazione ma semplicemente porre l’attenzione sul momento determinante dell’incontro: nei primi dieci minuti di un incontro fra due persone si decide il destino della loro futura relazione. E sembra una felice coincidenza di sincronismo junghiano il fatto che proprio in questi giorni la Ohio State University abbia pubblicato ricerche che provano questa teoria. L’ imprinting insomma è fondamentale e se l’energia che si scatena dall’incontro è molto forte l’evoluzione del rapporto lo sarà altrettanto. Tornando ai due protagonisti, infatti, per tutta la vita tendono a sfiorarsi e non si incontrano mai, non hanno pace finché finalmente non si riuniscono. Il ripetersi ciclico delle situazioni avviene come se i protagonisti dovessero imparare qualcosa da queste esperienze. Pasetto afferma che la tartaruga viene scelta simbolicamente perché trattiene sotto un guscio forte e tenace una parte molle e tenera come i sentimenti e i ricordi dei protagonisti. C’è una simbologia anche nei personaggi: Lei è cervellotica ed eterea e il suo ricordo si fissa sul punto della nuca, Lui invece è pura istintualità e carnalità e schiavo per sempre di questa forza vulcanica e impetuosa che non riesce a trattenere e non a caso verrà colpito alle gambe. I due protagonisti risultano entrambi molto convincenti e Barbara Bobulova conferma la sua bravura nei personaggi timidi e sofferti (come già aveva fatto nel film La spettatrice”di Paolo Franchi). I dialoghi abbastanza letterari rientrano in perfetta armonia con il contesto stilistico.
Regia: Stefano Pasetto Sceneggiatura: Stefano Pasetto, Marina Fabbri, Carmelo Marabello Fotografia: Paolo Bravi Montaggio: Alessio Doglione Musica: Banda Osiris Interpreti: Barbara Bobulova, Fabrizio Rongione, Gordana Miletic, Luigi Diberti Produttore: Rosanna Serena Produzione: Sinora Distribuzione: Istituto Luce Durata: 110” Origine: Italia
[settembre 2004]