Tata Matilda e il grande botto

I bambini in tempo di guerra hanno qualcosa di diverso dai bambini viziati nei periodi di pace.
I loro sorrisi sono più tesi, più preoccupati, più malsicuri. E anche i loro capricci, che certo non possono mancare perché sono parte integrante del processo di crescita, sono più pronti a spegnersi in un “Mi dispiace” che non hai alcun dubbio che venga dal cuore.
La guerra è una maestra severa. Insegna sin da subito, anche ai più piccoli, che c’è poco gioco quando tutto intorno cadono le bombe e poco cibo quando i padri sono tutti partiti per il fronte.
In queste condizioni anche un semplice barattolo di marmellata diventa un evento che si costruisce pian piano, mettendo da parte lo zucchero giorno dopo giorno.
Se di mezzo c’è la guerra anche Tata Matilda passa in secondo piano. Quel che lei ha da insegnare ai piccoli è già nell’aria. È nello sguardo preoccupato della mamma. Alberga nell’assenza del padre e nel vuoto che essa produce. Lo si coglie anche negli occhi del vicino di casa che pensa agli arei che potrebbero sganciarti addosso un carico di morte.
Per questo motivo, i bambini di Tata Matilda il grande botto, son più veloci ad apprendere le lezioni morali che il buffo personaggio si porta cucite addosso come medaglie al valore. E difatti la tata non fa in tempo ad entrare in casa e ad esercitare il suo potere che, ecco, il primo orrido neo le è già scomparso dal volto.
Il fatto è che la gran Tata non deve insegnare niente a questi bambini già provati dalla guerra e della paura. Deve solo assicurarsi che non perdano la strada mentre, inevitabilmente, crescono. La sua azione non è, come nel primo film, quella di insegnare che il proprio egoismo alla lunga, se assecondato fino in fondo, ti si ritorce contro e ti lascia solo, ma di aiutare bambini che questa lezione l’hanno appresa già da soli.
Loro non riescono ad essere egoisti sino in fondo come i bambini dei tempi di pace (il cui egoismo nasconde sempre e comunque incertezza e paura dell’abbandono). Anche se sono rampolli viziati di città, come i due cuginetti che arrivano in campagna per paura delle bombe, hanno sguardi temprati dal dolore per il prossimo divorzio dei genitori e possono, a buona ragione, dichiarare al mondo tutta la loro sofferenza.
I piccoli di Tata Matilda e il grande botto sono essenzialmente bambini che, in un mondo diviso da lotte intestine, si riuniscono nel gioco. Quando Tata Matilda insegna loro la lezione della cooperazione, lo fa lasciandoli giocare, lasciandoli perdere in un mondo di fantasia dove i maialini fanno nuoto sincronizzato e i corvacci ruttano dopo aver mangiato troppo stucco per finestre. Per questo anche il fantastico fatica a trovare una sua strada nel corpo del film. È presente, ma te lo devi andare a cercare tra le cose, non respira.
Anche se la regista racconta poco della guerra lascia che il suo clima entri nelle fiabe di Tata Matilda e ne riduca un poco la dimensione di “fuga dal contingente e dal dolore”. Se nel primo film, che la guerra non la vedeva neanche col binocolo, l’apoteosi era raggiunta in un matrimonio risolutore a piena orchestra, qui il finale arriva in punta di piedi, quasi scusandosi e quasi senza preparazione: è un raccolto d’orzo maturo dopo il dissinnesco di una bomba non esplosa.
E quando la Tata lascia il campo, vittoriosa, nessuno sembra capire il perché, neanche lo spettatore in sala che vede appena che il vuoto lasciato dalla tata viene riempito dal padre di ritorno dal fronte.
Tata Matilda e il grande botto ha un cuore poetico più grande del suo predecessore, ma pigia il pedale su componenti inaspettate che potrebbero dispiacere.
Emma Thompson, la cui bravura è un dato acclarato come la luce del sole, ragiona più da sceneggiatrice che da attrice e si mette da parte per dare spazio soprattutto ad altri più importanti protagonisti: Maggie Gyllenhaal, che disegna una mamma i cui occhi raccontano più di mille parole, Maggie Smith, che è gigantesca in quei pochi minuti in cui ruba la scena a tutti senza un briciolo di fatica, e i bambini che sono tutti perfetti, soprattutto Asa Butterfield che avevamo già visto ne Il bambino col pigiama a righe.
Quel che c’è da deplorare soprattutto è il doppiaggio italiano che davvero grida vendetta al cielo.
(Nanny McPhee and the Big Bang); Regia: Susanna White; sceneggiatura: Emma Thompson; fotografia: Mike Eley; montaggio: Sim Evan-Jones; musica: James Newton Howard; interpreti: Emma Thompson, Ralph Fiennes, Maggie Gyllenhaal, Rhys Ifans, Maggie Smith, Bill Bailey, Ewan McGregor, Asa Butterfield; produzione: Working Title Films, Three Strange Angels, Universal Pictures, Studio Canal; distribuzione: Universal Pictures; origine: Gran Bretagna, 2010; durata: 109’
