TEARS OF KALI

Scendere giù, ancora più giù, nei meandri della propria coscienza. L’orrore raccontato dal film tedesco Tears of Kali è dentro di noi, oltre il luogo dove le anime morte vagano, dove si nascondono i fantasmi, quelli che popolano la nostra anima ma che non appartengono solo a noi. Fantasmi alla ricerca di corpi da abitare, fantasmi che realizzano i nostri oscuri desideri, fantasmi che non possiamo controllare. Tre episodi per raccontare il lato oscuro della new age, seguendo gli ex adepti della fantomatica setta Taylor-Erikkson, che negli anni Settanta aveva sede a Poona ed in una sala “dall’aria soffocante”, aspirava a ridefinire i limiti del sesso, della violenza e della riscoperta del sé, al solo scopo di far guarire i propri devoti dalla “malattia dell’Occidente”. Una setta finita male, perché non tutto di noi dobbiamo vedere, e quando troppo si sta vedendo può venire voglia di estirparci gli occhi, con gesti che se nella loro forma possono pure ricordare i cani andalusi di bunueliana memoria, nel loro senso ne sono completamente all’opposto. Una setta finita male, come male erano finite le esperienze esoteriche, anch’esse di derivazione tedesca, dell’inglese Alistair Crowley e della sua golden dawn, come male è finita la ricerca di Agarta, che da luogo mitico si è tradotto in aspirazione troppo nazista e oggi si è ridotta ad essere l’inquietante nome della nuova Eurodisney romana, in procinto di essere costruita sulla via Casilina. Tre episodi (Shakti, Devi e Kali) girati in video, interpretati, tra gli altri, da Mathieu Carriere e Anja Gebel e diretti dall’esordiente Andreas Marshall, che contamina immagini televisive con le atmosfere dark, che rinchiude i suoi personaggi in ospedali psichiatrici, cantine o studi di psicoanalisti folli. Tre episodi ed una sola idea, forse un po’ già troppo vista, ma una idea che ha comunque interessato la giuria del festival di Ravenna, che a questo film ha fatto vincere il concorso, conseguenza necessaria per un film che mostra, in fondo, che dalla Malattia dell’Occidente, proprio facile guarire non è.
[ottobre 2004]
regia: Andreas Marschall sceneggiatura: Andreas Marschall fotografia: Heiko Merten, Michale M. Schuff musica: John Panama, India Bearti scenografia: Tim Luna, Stefan Rode montaggio: Andreas Marschall interpreti: Mathieu Carrière, Peter Martell, Adrian Topol, Anja Gebel, Vronie Kiefer, Nuran Celik, Marcel Trunsch produzione: Cut and Run Prod., Anolis Entertainment durata: 110’ origine: Germania 2004
