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Ten no Chasuke - Concorso

Pubblicato il 13 febbraio 2015 da Matteo Galli

VOTO:

Ten no Chasuke - Concorso

Come l’anno scorso, anche quest’anno il concorso della Berlinale si conclude con un film giapponese. L’anno scorso era toccato al vecchio maestro Yoji Yamada con The Little House, per il quale piuttosto inspiegabilmente era stata premiata come migliore attrice Haru Kuroki. Questa volta, con Chasuke’s Journey tocca a Sabu, regista habitué dei festival internazionali e di Berlino in particolare, dove nel 2000, con il suo quarto film Monday (sezione Forum) ha raccolto quello che a tutt’oggi resta il suo riconoscimento internazionale più importante e un minimo di distribuzione. Poiché altrimenti Sabu, ormai cinquantenne e giunto al quindicesimo film, è (e resta) il classico regista da festival che fuori dal giro delle rassegne internazionali e fuori dal Giappone (in alcuni casi dall’Asia) pochi conoscono, pochi hanno visto.
Il film di oggi parte da una bella idea che coniuga cinema e destino. Su un lunghissimo rotolo di carta bianca squadre di sceneggiatori scrivono, in un cielo pieno di vapore e tutto bianco che sembra la pubblicità di una nota marca di caffè, le sorti dell’umanità. Ciascun sceneggiatore gestisce una biografia, ma le storie sono piene di alternative, bivi, sliding doors, e modificandone una si trasformano anche le altre, fin quando il Maestro in persona non decide che il tempo è scaduto e il rotolo deve essere ritirato per passare al prossimo e alle vite che vi saranno scritte. Protagonista è uno sceneggiatore, che per quella serie di intrecci di cui si diceva, si vede portar via la donna di cui sta scrivendo la biografia e prega Chasuke, che in cielo fa il coppiere (ovviamente, visto che siamo in un cielo giapponese) di tè, di scendere sulla terra e fare in modo che la morte di Yuri, così si chiama, la sua protetta, la sua muta eroina non avvenga. Visto che siamo a Berlino, il film, in un primo momento, sembra diventare una via di mezzo fra Il cielo sopra Berlino, con Chasuke armato di alucce bianche sulle spalle, e Lola corre, perché l’eroe ha a disposizione solo due ore per salvare Yuri. Missione, non senza qualche fatica, compiuta. Dopodiché Sabu si scatena in un gioco, che non si può non definire barocco, ricostruendo per flash le biografie di tutti i personaggi in cui ci imbattiamo, imbastendo continui inseguimenti per le strade con un profluvio di sangue, di vomito (vero leitmotiv di questa Berlinale: mai visto vomitare così tanto!), di ferite e miracolose guarigioni (si sparge la voce che Chasuke è, appunto, un guaritore), morti e resurrezioni, di nuovo: morti e resurrezioni, fino alla definitiva decisione dell’eroe di (ri-)farsi carne insieme all’amata Yuri che, miracolosamente, riacquista la parola, in una sarabanda che a un certo punto fa girare la testa, anche perché intervallata da cerimonie tribali, animali totemici, immancabili interventi di cosche yakuza etc. etc.
In un festival in cui il paradigma del realismo è e resta quello dominante non si può non salutare questa conclusione in cui Sabu si beffa di ogni verosimiglianza nella stessa giornata in cui l’ultima parola della Cinderella di Branagh era per l’appunto “magic”. Senonché mentre il realismo finisce gioco forza per imporre dei limiti ai quali attenersi, quando si decide di optare per un paradigma non realistico, è facile che a un certo momento il regista si innamori della propria idea e del proprio stile. Era, per certi versi e a un livello decisamente superiore, accaduto a Greenaway. Ed è successo anche a Sabu.


CAST & CREDITS

(Ten no Chasuke); Regia, sceneggiatura: Sabu; fotografia: Daisuke Soma; montaggio: Junichi Matsumoto; interpreti: Ken’ichi Matsuyama (Chasuke); Ito Ohno (Yuri), Ren Ohsugi (Taneda); Yosuke Iseya (Joe); produzione: Office Kitano – Tokyo; origine: Giappone-Francia, 2015; durata: 106’.


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