Terminator: Destino oscuro
Accadrà da un giorno all’altro. Per prima cosa andrà via l’elettricità e farà buio. Poi, di colpo, nulla sarà più come prima. Ha il dono della sintesi e dell’ironia questo ultimo Terminator: Destino oscuro, prodotto con slancio da James Cameron (quello del primo Terminator), e diretto da Tim Miller (quello del primo Deadpool), che di oscuro ha in realtà ben poco.
All’orizzonte c’è naturalmente un futuro distopico e apocalittico che è stato schivato, ma non troppo, dalla inarrestabile Sarah Connor (la fichissima Linda Hamilton) e dal sacrificio di suo figlio John. Ora come allora, nel 1984, c’è una ragazza da salvare. Messicana, Dani (Natalia Reyes) è ottima lavoratrice in una fabbrica in cui le macchine aumentano la produzione e cresce la disoccupazione e possibile immigrata negli Stati Uniti, con un presente apparentemente comune e un destino misterioso ma di vitale importanza per il futuro dell’umanità.
Cameron deve aver avuto il suo momento nostalgia, perché il film ha davvero moltissimo in comune con il primo episodio della saga di cui era stato regista. Ma il 2019 non è 1984. L’ambientazione non è più metropolitana, notturna. E’ negli spazi enormi del confine tra Messico e USA - dominati dai cartelli della droga e attraversati dai treni della speranza sormontati da migliaia di uomini e donne pronti a farsi ammazzare nel disperato tentativo di raggiungere la "gabbia dorata" - che si gioca simbolicamente la partita tra umani e non umani.
In mezzo a loro, ci racconta il film, in mezzo a delinquenti e a persone per bene, trafficanti e povera gente, c’è una piccola ragazza bruna e spaventata che attraverserà, eccome se lo attraverserà, quel maledetto muro sul quale sembra schierato l’intero esercito americano, FBI e chi più ne ha più ne metta, che come al solito lascerà che tutto si svolga, senza capirci niente, anzi mettendoci del suo in negativo (salvo rare, posticce eccezioni).
Se da un lato c’è il Messico, dall’altro c’è il Texas. Ah il Texas, con le sue grigliate imperiali e i suoi arsenali in garage. E’ lì che troveremo il vecchio Arnie T-800, tappezziere invecchiato con un debole per le texture grafiche, una compagna, madre sola vittima di violenze, che di lui ha saputo apprezzare la presenza, la capacità di ascolto e di cambiare pannollini, in evidente assenza di altro. Già, perché in lui, poco dopo aver eseguito il comando ricevuto dall’intelligenza artificiale Skynet, uccidendo il figlio di Sarah, qualcosa è cambiato. Si è macchine finché si hanno obiettivi e non una possibilità di scelta.
E di fronte alla madre cui ha ucciso il figlio, pronta a scaricargli addosso un bazooka da passeggio, la macchina rivela di aver finalmente potuto cominciare a scegliere, proprio grazie a lei e al suo sacrificio.
É un’ironia lieve, costante, ma quasi sempre ficcante, quella che permea tutto il film, dotato di una sceneggiatura asciutta e chiara, tesa a accompagnare una dimensione narrativa più dinamica e meno lugubre della vicenda che ruota, nei fatti, sull’idea dello sterminio dell’umanità. Dove il trio di donne protagoniste - la giovane e inesperta Dani (Mackenzie Davis), la determinata e materna Grace, la veterana, indomita Sarah, moschettiere di diverse qualità umane e riflesso plastico delle età della donna klimtiana - sostituite le fosche suggestioni messianiche con quelle di una più rilassata fluidità sessuale, sono il simbolo di una ritrovata tensione alla solidarietà umana, fatta di comprensione e tenerezza - al netto delle innumerevoli martellate metalliche che sono costrette a infliggere durante il film - verso le disgrazie altrui. Di una tensione a aiutare l’altro non solo per un immediato interesse personale o per un legame sentimentale o famigliare esplicito - «Perché fate questo, lei non è niente per voi?», domanda impassibile, nella sua ottusa spietatezza, Rev 9 (Gabriel Luna) - ma per la consapevolezza che solo attraverso l’adesione alle vite degli altri, da qualunque luogo provengano e in qualunque luogo stiano andando, si potrà sfuggire tutti a un destino oscuro. E deporre le armi.
(Terminator: Dark fate); Regia: Tim Miller; sceneggiatura: Josh Friedman, David S. Goyer, Billy Ray, Justin Rhodes; fotografia: Ken Seng; montaggio: Julian Clarke; musica: Junkie XL; interpreti: Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton, Mackenzie Davis, Diego Boneta, Gabriel Luna, Steven Cree, Natalia Reyes, Edward Furlong, Tom Hopper; produzione: Skydance Media, Lightstorm Entertainment, Tencent, Twentieth Century Fox; distribuzione: 20th Century Fox Italia; origine: USA, 2019; durata: 128’