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Terminator Salvation

Pubblicato il 6 giugno 2009 da Alessandro Izzi
VOTO:


Terminator Salvation

L’anima da rigatteria di certo cinema americano trionfa in un gioco di suppellettili mischiate alla rinfusa sulla superficie di uno schermo sempre più piatto. Proprio nel periodo in cui il cinema tenta di superare il drastico calo delle presenze in sala con la ricetta ultraspettacolare del 3D, il cinema di genere, altrove coacervo di feconde contraddizioni, sembra volersi sempre più chiudere nella dorata superficie dell’autoreferenzialità. Il già visto confonde i limiti che separano la citazione dal plagio puro e semplice e le immagini che dovrebbero comporre l’universo film si dispongono all’interno di una galleria virtuale che si ripete all’infinito come le Marilyn Monroe di Warhol.
Non c’è spirito di novità in Terminator salvation, solo il continuo riproporsi di una mitologia che ha avuto ben altro senso alla sua nascita. Sullo schermo vengono riproposti, con mero spirito combinatorio, tutti i temi che erano stati alla base dei primi episodi di quella che comincia a profilarsi all’orizzonte come il trionfo di una serialità multimediale che dalla sala è già passata alla televisione (si pensi a The Sarah Connor chronicles). La differenza sostanziale di questo episodio, rispetto al precedente Terminator 3 sta tutta nei rimandi. Mentre, infatti, il terzo capitolo della saga dei Connor faceva piazza pulita dell’utopia scientifica che animava il secondo bellissimo episodio Cameron e si concentrava sulla visione di un futuro sconsolato votato al suicidio, Salvation recupera alcune suggestioni ed alcuni spunti proprio di quel negletto episodio. Ecco allora tornare sullo schermo la visione frankensteiniana di una tecnologia ambigua e bifronte capace di portare il massimo male (Skynet), ma anche pronta a piegarsi ad un uso etico e salvifico. Ed ecco tornare, contro il cupo fatalismo che animava il finale luciferino del terzo, anche l’idea che l’uomo può farsi artefice del proprio destino e trionfare sul mondo malgrado le avversità.
La novità sostanziale di questa operazione sta, invece, tutta nella dimensione del riscatto, nella capacità di cancellare il proprio passato e costruire ex novo un futuro migliore. Mentre i primi tre episodi della saga erano dominati dallo spettro di un futuro incombente come le nubi di tempesta che chiudevano all’orizzonte il finale del primo, questo nuovo capitolo è, invece, ossessionato dal tema del passato. Il terzo protagonista dell’episodio (oltre al John Connor disegnato da Christian Bale e al Kyle Reese ottimamente interpretato da Anton Yelchin) è una sorta di crononauta al contrario. Rianimato dopo un lungo periodo di coma, l’uomo si ritrova a vivere in un’apocalisse post atomica di cui non sa niente. Come l’eroe di 28 giorni dopo, il protagonista vive l’orrore del risveglio in un mondo non suo, governato da regole nuove. Addormentatosi come un assassino prima del Giorno del Giudizio, egli si risveglia in uno sfortunato periodo alla disperata ricerca di eroi. Di qui la corsa al riscatto, l’esigenza di far decantare il proprio passato in una più matura accettazione di sé e della propria posizione nel mondo.
Il quarto episodio della saga volge le spalle all’evento cerniera del conflitto nucleare che chiudeva il terzo episodio e riflette a specchio le ansie del primo. Se lì un uomo giungeva dal futuro per salvare un bambino non ancora nato, qui è un uomo dal passato a mettersi sulle tracce di un padre non ancora consapevole del proprio destino. Se il primo si chiudeva con una gravidanza annunciata, qui una donna è in cinta sin dall’inizio e il padre è proprio il messia annunciato.
Ma si tratta di una novità solo relativa. Frutto più del gioco combinatorio delle ipotesi speculative, che non di un’esigenza reale, dell’espressione di un pensiero poetico. La filosofia resta più nel lavoro degli attori che nelle intenzioni di regia. Quando, verso la fine del film Kyle Reese incontra finalmente John Connor il tema del paradosso temporale che fa incontrare un padre più giovane del suo stesso figlio vive tutto nello spalancarsi stupefatto degli occhi di Bale o nell’affollarsi di emozioni sul volto di Anton Yelchin e non nel principio di composizione dell’immagine o in un’intuizione di regia.
McG, del resto, arriva alla saga con lo stesso spirito con cui aveva girato Charlie’s angels: come un mestierante che deve shakerare un immaginario già visto. La sua bravura non la si misura nella capacità di creare nuovi sapori, quanto piuttosto nella quantità di bollicine che riesce ad aggiungere al suo drink estivo.
Terminator salvation è, per questo, un film a suo modo avvincente e ben girato, ma del tutto incapace a fondare ex novo una mitologia originale. Cameron resta lontano anni luce. E il suo passato ci sembra artisticamente ben più pregno di futuro di questo innocuo videogioco che val la pena vedere solo per la bravura degli interpreti.


CAST & CREDITS

(Terminator salvation); Regia: McG; sceneggiatura: John D. Brancato, Michael Ferris, David C. Wilson; fotografia: Shane Hurlbut; montaggio: Conrad Buff; musica: Danny Elfman; interpreti: Christian Bale, Anton Yelchin, Sam Worthington, Moon Bloodgood, Common, Bryce Dallas Howard, Terry Crews, Roland Kickinger, Chris Ashworth; produzione: Halcyon Company, T Asset Acquisition Company; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: Germania/ Gran Bretagna/ USA, 2009; durata: 115’


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