Tetro (Conferenza stampa)

Torino - Purtroppo ‘M’ in america non sta per ‘movie’ ma per ‘money’. Non ho nulla contro i soldi. Io per primo ne ho fatti tanti e persi tanti, ma per fare cinema bisogna rischiare. Non sarà il tridimensionale a risolvere i problemi. Se non rischi, il cinema muore.
Ecco una delle dichiarazioni rilasciate da Francis Ford Coppola in occasione della presentazione al Festival di Torino del suo nuovo film, Tetro, già passato a maggio scorso alla Quinzaine di Cannes ed ormai uscito in Italia con il titolo Segreti di famiglia. Conferenza stampa di certo non entusiasmante ma il regista de Il padrino ha risposto alle domande dei giornalisti presenti offrendo comunque molti spunti interessanti. Fortunatamente non si è ripetuto nei suoi discorsi sui vini e l’enologia (che avevano monopolizzato molti dei recenti incontri con l’autore) ed ha parlato del suo cinema (e di cinema in generale) partendo proprio dalla sua ultima creatura, Tetro.
Innanzitutto perché il bianco e nero?
Penso che il bianco e nero sia una bellissima forma fotografica, prima ancora che cinematografica. I pezzi grossi del cinema non lo amano più ed impongono spesso certe regole. Per la storia che volevo raccontare in Tetro, ricca di contenuti emotivi, desideravo un realismo che avesse una sua poesia, e il bianco e nero la forma più adatta. Il realismo poetico rende meglio quando è filtrato dal bianco e nero: pensate a Rocco e i suoi fratelli di Visconti. Ora però è sempre più difficile poter fare una tale scelta estetica. Le industrie cinematografiche vogliono restringere sempre di più le libertà.
Il digitale è il futuro?
Sono anni che sostengo che il cinema è digitale, è elettronico. La pellicola pian piano non esisterà più, anche se mia figlia Sofia la usa sempre e si rifiuta di usare il digitale - forse per non voler lasciare andare i 100 anni di cinema che abbiamo alle spalle. Io che sono più vecchio dico che il futuro è questo e lo accetto senza problemi. La fotografia ad esempio di Segreti di Famiglia è in HD e in digitale. L’importante non è la pellicola. Importanti sono gli obiettivi ed il direttore della fotografia: quindi anche in digitale si possono fare bei film. Per quanto riguarda in generale il futuro del cinema, io penso che la sua forma sarà qualcosa che neanche possiamo immaginiamo e le sale saranno molto diverse da quelle a cui siamo abituate. Il cinema è linguaggio e il linguaggio cambia continuamente. Tante lingue erano dialetti del latino e poi si sono sviluppati come idiomi veri e propri: così anche il linguaggio del cinema è soggetta a cambiamenti. Ed io sono aperto a tutto. Digitale è sempre cinema, solo nuova tecnologia per farlo. Come dice Lucas: lunga vita al cinema. Solo che adesso sta cambiando forma e le generazioni future useranno il digitale anziché la pellicola.
I cinque film che l’hanno segnata?
Nella sua storia il cinema ci ha regalato tanti film che ci hanno segnato, per citarne i cinque migliori, dovrei restringere il campo quelli girati a Berlino fra il ’20 e il ’27! Per dire: il cinema ha la coscienza di un essere umano, dei nostri sogni. A 17 anni ero un giovane studente che studiava teatro, andai per caso alla proiezione di Ottobre di Ejzenstejn - non ricordo di aver mai visto niente prima di allora. Uscito dalla sala, decisi di dedicarmi al cinema e non più al teatro, forse perché trovai nel cinema un linguaggio che mi è subito piaciuto; avevo colto l’alchimia del montaggio di un film e questo poter giocare con le scene mi affascinava: ecco perché ho lasciato il teatro e mi sono iscritto alla UCLA.
Cosa pensa del doppiaggio?
Personalmente amo vedere ed ascoltare le performance degli attori nella lingua originale. Il doppiaggio è un crimine. Alcune industrie cinematografiche non vogliono distribuire film con sottotitoli. Credo sia solo una proibizione dei nemici del cinema. Pensate a La tigre e il dragone: uscì con i sottotitoli eppure fu un gran successo.
Rumble Fish e Tetro presentano molti punti in comune, sembrano due film molto vicini tra loro.
Rumble Fish era tratto da un romanzo. Ero attratto dal libro. Ed è vero che Tetro è molto vicino a quel film, sono quasi cugini, qui però è sceneggiatura originale. Nel primo c’è un fratello minore che ammira profondamente il fratello maggiore arrivando ad idealizzarlo. E questo è un aspetto molto autobiografico perché ho sempre cercato di essere come mio fratello maggiore. In Tetro ho cercato di sviluppare ulteriormente i rapporti familiari e anche qui c’è qualche riferimento alla mia esperienza personale, alla mia famiglia. E comunque Tetro doveva inizialmente essere interpretato da Matt Dillon, che già era stato Rusty, poi però per alcuni problemi ha dovuto rinunciare.
Prossimo progetto?
Perché mai dovrei rivelarlo ora?
Qual è il suo rapporto con l’Italia?
Mi sento profondamente italiano. I miei nonni erano italiani, tre di Napoli, uno della Basilicata. Se l’America è un grande paese è dovuta dal fatto che al 100% è composta da immigrati che hanno espresso il loro talento in tutti i modi in cui era possibile farlo.
