TFF ’ 05 - Concorso internazionale lungometraggi - Diarios da Bosnia

Sono centinaia le tombe senza lapidi del cimitero di Alifakovac, Bosnia. Mute croci di legno disegnano la geografia della collina che sovrasta il piccolo villaggio, la data a destra sempre uguale: 1992, l’anno della guerra nel cuore dell’Europa, della pulizia etnica a due passi dai resort dell’Istria pullulanti turisti con occhi vili, chiusi. Sono passati sei anni e la guerra è ufficialmente finita, ma la morte cala ancora il proprio peso sotto forma di un velo bianco di neve. Il regista portoghese Joaquim Sapinho, seguendo un contingente militare appartenente alla forza Kfor ritorna sui luoghi del conflitto in Bosnia, dopo un primo viaggio nel 1996, per documentare, alla maniera dei diari di viaggio, una sorta di memoria che trasuda dai luoghi fisici, a partire dalla grande città di Sarajevo alle enclavi di Srebrenica , ai luoghi usati per le olimpiadi invernali, che vomitano cerchi olimpici bruciati e abbandonati e dove gli impianti di risalita in funzione possono solo echeggiare vuoti rumori metallici. Il film è caratterizzato dalla pressoché totale mancanza di dialoghi, molto discreta e secca la voce narrante del regista che in pochi, semplici interventi ricorda gli 8mila musulmani trucidati a Srebrenica, o il silenzio della gente che incontra nel secondo viaggio. ‘Ho un bisogno fisico di stare vicino alle persone’, dice, mentre la macchina da presa a mano si introduce lieve tra al gente che affolla un tram di Sarajevo. La nebbia avvolge tutto: i palazzi bombardati e la campagna indifferente, i bar vuoti di periferia e le persone, sempre osservate da lontano, come sfumate silhouettes. Un ritorno alla vita impossibile, sembrano dire le immagini, spesso fisse, ricche di dettagli apparentemente marginali, ma che raccontano a loro modo un’assenza. L’assenza di speranza che la guerra nei Balcani ha disegnato in un inedito dopoguerra, privo di redenzione, che nega una nuova nascita. Un documentario atipico che accoglie un punto di vista estremamente originale nel descrivere la memoria di un evento collettivo così traumatico e fisico come può essere solo una guerra, ma che mantiene lontani, in una sorta di nicchia collettiva, le persone, i loro volti e in particolare le parole. Mantenendosi quindi lontano da un taglio prettamente giornalistico, di ricostruzione storica e di cruda denuncia, solleva problemi più che soluzioni, agisce da testimone emozionale, grazie anche ad un taglio narrativo caratterizzato da una asciutta concisione e da una ricchezza visiva più vicina ai documentari naturalistici. Molto curato risulta infatti l’aspetto fotografico, che segue in continua alternanza i diari dei due viaggi, adottando un colore seppia nelle scene del 1996 e una fotografia più contrastata in quello del 1998, due stili che a modo loro cristallizzano il tempo in un limbo emozionale. ‘Facendo questo film ho trasmesso la malinconia che quei luoghi mi hanno trasmesso e da testimone ho constatato quanto dopo il conflitto, sia scoppiato il lutto, nella convinzione - ha ribadito il regista nella conferenza stampa allo Spazio Meeting Punto -che fare la guerra è sempre più facile che fare la pace’, ma le campane che finalmente risuonano nel lirico finale del film, su un piano sequenza che segue da lontano due coniugi lungo l’ennesimo cimitero, aprono uno squarcio di luce nel cielo, per essere poi vanificato dalla lenta dissolvenza al nero.
[16 Novembre 2005]
(Diarios da Bosnia) Regia e sceneggiatura: Joaquim Sapinho Fotografia: Luis Correia, Joaquim Sapinho Montaggio: Vitor Alves Musica: Hugo Alves Suono: Nuno Carvalho Produzione: Rosa Filmes Origine: Portogallo 2005 Durata: 77’
