The amazing Spiderman 3D
Qualche anno fa, in un remake, quello di Halloween, Rob Zombie cominciava una riflessione tutta nuova sulla maschera e sulla sua funzione culturale nel contesto americano.
Negando appieno il modello carpenteriano, secondo il quale la maschera dell’assassino in realtà rivela e dichiara la realtà ultima del mostro, Zombie vedeva nella maschera, prima di tutto una negazione, un bisogno di sottrazione. La maschera ci nasconde è un baluardo estremo di privacy, un filtro che ci permette di essere noi stessi in uno spazio astratto, distante dal mondo delle cure quotidiane e dalle maschere ineliminabili (queste si) del nostro vivere sociale.
Per gli eroi Marvel la maschera rappresenta, appunto, la possibilità di una separazione, labile, dolorosa, mai troppo netta tra il destino del super eroe e la realtà del teenager fragile che la indossa. L’esatto contrario di Superman che per passare da un mondo all’altro si spoglia, si toglie, cioè, la maschera del timido impiegato e della convenzione sociale per essere finalmente se stesso e, quindi, un “messia”.
Per Spiderman la maschera rimarca una distanza, è una cintura di sicurezza che protegge l’uomo dall’urto troppo forte della sua vita goffa e timida col suo destino a tutta velocità dell’eroe ironico e pungente. Nel mondo del di qua, Peter Parker è un fotografo, lavora e manipola immagini, apparenze e simulacri. Di là della maschera è, invece, paladino malfermo di un disperato bisogno di sostanza. Ma per la sostanza la maschera è più spesso un ingombro che un aiuto perché celando identità, nasconde anche al mondo lo sguardo dell’eroe, colora di ambiguità un agire che è già di suo ambiguo.
I fumetti Marvel sono pieni di bambini che si esaltano a guardare i loro eroi arrampicarsi sui muri e catturare i cattivi. La maschera che indossano rivela, in fondo, le loro intenzioni, dichiarano un intento. E sono vicine all’halloween del divertimento e delle caramelle, dell’infanzia poco preoccupata e della certezza delle mamme che lasciano i polpettoni nei forni quando, per giocare, si torna a casa un poco più tardi. Non fanno paura più di tanto, ma (Batman escluso) quasi rassicurano. Nel film di Marc Webb di bambino ce n’è uno solo, terrorizzato in una macchina in bilico sul nulla, che chiede solo l’abbraccio del suo papà quando davanti a sé c’è, tremendo, l’orrore di un salto nel vuoto buio. E Spiderman è consapevole di non poter salvare un bambino così terrorizzato e solo. La consapevolezza del suo limite di maschera brucia l’immagine come la benzina che prende fuoco avvolgendo la macchina in fiamme esplosive. L’unica strada per la salvezza del bambino sta nel suicidio della maschera, nella negazione della sua funzione. Tolta la maschera che dà sicurezza (“Mettila, rende invincibile” dice l’eroe al bambino dopo avergliela data, per rassicurarlo) è Peter Parker e non Spiderman a salvare il piccolo da morte certa.
Lo stravolgimento della prospettiva non poteva essere più radicale. Per Peter Parker, amichevole Spiderman di quartiere, il problema di liberarsi della maschera per essere veramente se stesso, comincia prima ancora che la maschera sia pronta e finita. È un bisogno radicale, da teenager che una maschera se la porta a scuola tutti i giorni perché gli altri gliela hanno appioppata, ma che vorrebbe nient’altro che qualcuno che lo ascolti senza giudicare, senza che le sue parole lo facciano sentire un mostro agli occhi delle convenzioni sociali che tutto omologano in categorie astratte che non hanno niente a che vedere con la vita vera. Del resto il capitano Stacy sacrifica la sua vita per Peter Parker e non per Spiderman.
Ed è nella descrizione di tutto questo che la pellicola di Marc Webb è bella, densa, piena. Poi, da contratto, il regista si ricorda che c’è bisogno di un cattivo e qualche scena di combattimento. E svolge il suo compito a casa con la diligenza del bravo scolaro alle soglie del Final test. La promozione se la porta a casa, ma la vera poesia stava tutta quasi solo nella prima ora di proiezione.
(The amazing Spiderman); Regia: Marc Webb; sceneggiatura: James Vanderbilt, Alvin Sargent, Steve Kloves; fotografia: John Schwartzman; montaggio: Alan Edward Bell, Pietro Scalia; musica: James Horner; interpreti: Andrew Garfield, Emma Stone, Rhys Ifans, Martin Sheen, Sally Field, C. Thomas Howell, Denis Leary, Embeth Davidtz, Campbell Scott, Kari Coleman, Chris Zylka, Irrfan Khan, Max Charles, Ryan Keiffer, Michael Barra, Leif Gantvoort, Andy Pessoa, Hannah Marks, Kelsey Chow, Stan Lee; produzione: Columbia Pictures, Laura Ziskin Productions, Marvel Enterprises; distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia; origine: USA 2012; durata: 136’; webinfo: Sito italiano, Sito ufficiale