Cannes 2015 - The Assassin - Premio per la regia
A Cannes, fin dalla sua prima proiezione stampa, The assassin si è imposto come il più impressionante e potente candidato ai premi maggiori del Festival. La notizia che Hou Hsiao-hsien, dopo sette anni di assenza, fosse tornato sul grande schermo con un wuxia, genere molto popolare in Cina, simile al nostro cappa e spada - ricordate La Tigre e il Dragone di Ang Lee o Hero di Zhang Ymou, tanto per citare due titoli banali? - suonava quantomeno singolare, come se dopo Morte a Venezia o Gruppo di famiglia in un interno, Luchino Visconti avesse deciso di dirigere un western. Il quasi settantenne gran maestro della nouvelle vague taiwanese, pur avendo in passato già diretto opere in costume ambientate in epoche diverse dall’attualità, non si era mai spinto tanto indietro nel tempo, verso gli ultimi anni della dinastia T’ang, sul finire dell’alto medioevo della storia cinese.
I balzi felini, gli scatti felpati dei guerrieri, i bagliori delle lame delle sciabole e dei coltelli, i fiotti di sangue sbocciati come fiori di ciliegio al rallentatore, già sorprendentemente coreografati con la precisa intenzione di stupire le platee più popolari dai maestri del genere (uno su tutti Tsui Hark)... Insomma come si sarebbero potuti sposare gli ingredienti più tipici e indispensabili del wuxia con il passo solenne, sospeso in una permanente trance narrativa dell’autore di capolavori come Città dolente (Leone d’oro a Venezia nell’89), Il Maestro di burattini (Prix della Giuria a Cannes nel ’93), o lo struggente Millennium Mambo? Proprio come Luchino Visconti, che avrebbe immerso i suoi eventuali cowboys in una crepuscolare luce vespertina, dilaniati tra nostalgie del passato e un decadente indulgere in un virile e morboso “cupio dissolvi”, e cadenzato con andature mahleriane il trotto lento dei loro destrieri, Hou Hsiao-hsien trincia via di netto ogni esagitazione funambolica o isterica girandola di salti e affondi, e osserva i personaggi della complicatissima vicenda (alzi la mano chi al termine di un wuxia sarebbe capace di raccontarne per filo e per segno la trama, dimostrando di averci capito qualcosa) con l’occhio di un artista visuale. Di colui che osserva il dipinto di un antico pittore cinese e resta incantato dal paesaggio senza prospettiva qua abbozzato sulla pergamena, là raddensato di acquarello per gonfiare una nube, diluire l’ansa di un corso d’acqua, ravvivare i petali di una rosa, suggerire il volo di una rondine o di uno sparviero, finendo per perderseli, i personaggi, vivide macchioline di colore abbandonate ai loro diversi destini.
Lo stesso Hou Hsiao-hsien ha affermato di essere rimasto incantato, nel corso dei sopralluoghi nella Mongolia centrale dove The assassin è stato girato, dall’argento dei laghi e delle foreste, restituiti con fulgore abbagliante dal bianconero delle sequenze iniziali. E là dove trionfa il colore, si verifica il miracolo di rappresentare - non di "ricostruire" - un passato restituendone la distanza, l’assenza, e la necessaria ritualità che deve avvolgerne e accompagnarne il ricordo, come al cinema sono riusciti a fare in pochissimi: Visconti con Senso, Max Ophüls con Le plaisir, Paul Thomas Anderson con Inherent Vice. Se proprio non volevano dargli la Palma d’oro, i Fratelli Coen avrebbero dovuto almeno assegnargli il Grand Prix, riservato invece, secondo uno dei più strambi verdetti della recente storia del Festival, a Son of Saul di Laszlo Nemes, cui il Prix per la regia andato a The assassin sarebbe calzato assai meglio, grazie all’idea straordinaria che è alla base del progetto visivo dell’opera prima del giovane regista ungherese. The assassin, l’assassina, rapita da piccola e istruita all’arte del combattimento per diventare da adulta giustiziera feroce e spietata, è Shu Qi, la Vicky di Millennium Mambo: due occhi che bucano il paesaggio dell’anima, e incendiano il cinema.
Nie Yinniang (The Assassin) Regia: Hou Hsiao-hsien; sceneggiatura: Hou Hsiao-hsien, Chu Tien-Wen; fotografia: Mark Lee Ping Bing; montaggio: Liao Ching-Sung, Huang Chih-Chia; musica: Lim Giong; interpreti: Shu Qi, Chang Chen, Zhou Yun, Tsumabuki Satoshi, Juan Ching-Tian, Hsieh Hsin-Ying, Sheu Fang Yi; produzione: Spotfilm, Sil-Metropole, Media Asia, CMPC, origine: Cina, Hong Kong, Taiwan; durata: 104’.