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The eagle

Pubblicato il 16 settembre 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


The eagle

L’aquila è un simbolo. Caduco, come tutti i simboli che ambiscono sfidare il corso dei secoli. E come ogni simbolo ammantato da molteplici livelli di lettura, da infinite possibili reinterpretazioni. È una nebbia grigia in cui ciascuno può ridisegnare i suoi personali bianchi e neri.
In The eagle, l’aquila, simbolo delle legioni romane e dell’onore dell’Impero, passa sotto lo sguardo di moltissimi angoli. Tutti più acuti che ottusi. Tutti tendenti al grado zero dell’unico possibile punto di vista: l’utopia delle dittature.
L’aquila è segno d’onore, trionfo dei valori espansionistici di tutto un Impero. Segno tangibile che sino al punto in cui essa è confitta nel terreno a sfidare l’orrizonte, lì Roma è stata e dopo più nulla.
Ma, nel film, essa è anche baluardo d’immagine impugnato solo quando fa comodo da politici che dell’onore non sanno che farsene quando al loro soglio preme con maggiore urgenza la ragion di Stato.
Per Kevin Macdonald l’aquila era simbolo della Roma di ieri come dell’America di oggi. Bandiera da piantare sugli estremi confini dell’Impero, possibilmente sulle ossa del nemico abattuto e sugli stupri che sono di donne quanto di terre.
Immagine potente di uno sguardo dall’alto che, però, è rapace, in cerca di prede prima ancora che di giustizia o di conoscenza.

Al valore collettivo subentra, poi, il valore individuale. Alle proiezioni di tutto un popolo si aggiungono quelle dei singoli che nei simboli leggono prima di tutto i motivi del loro stesso essere al mondo. Così mentre i politici sfruttano l’immagine per disegnare confini ed incassare risorse, le persone ne fanno segni cardinali per individuare la direzione da far prendere alla propria esistenza. Così l’aquila, per Marco è segno dell’onore familiare. Poiché il padre l’ha persa nell’ultima campagna nell’estremo nord, oltre il Vallo Aurelio che separava i romani dai britanni, è suo campito ritrovarla. L’onore di Roma è secondario rispetto a quello della famiglia. Il riscatto individuale conta assai più di quello collettivo.
Così The eagle si riempie di ombre e il simbolo è fitto di presagi funesti. Perché dall’incubo coloniale ed imperialista vede una sola via d’uscita: le ragioni del privato. Ed il problema più grosso è che entrambi prendono la stessa direzione e difendere l’onore dell’aquila è anche avvallare le stragi e i soprusi che sono stati fatti in suo nome.

La cosa più bella di The eagle sta forse proprio in questo baluginio di contraddizioni che si incrostano in una storia di riscatto come i molluschi sugli scogli. Il discorso politico appare sporco perché è la politica ad essere sporca ed il rifugio nel privato provvisorio perché impossibilitato ad uscire oltre i confini dell’impero.
Non lasciatevi ingannare: The eagle non è un peplum, ma un film western, racconta le stesse contraddizioni del mito, quando tra realtà e leggenda si finiva sempre per stampare la seconda. Ma mette al centro due personaggi che escono insieme fuori scena come eroi di John Ford, non più di casa in un Impero dominato da politicanti, ma neanche a loro agio nella luce del crepuscolo che li guida su sentieri di celluloide. E in questo gli attori son bravissimi, riuscendo a glissare sulla dimensione omoerotica del loro rapporto e a consegnarci il ritratto di anime lacerate nella confusione dei tempi. Tra i due è forse l’Esca di Jamie Bell a tentare meglio il salto di qualità verso le ragioni del mito.


CAST & CREDITS

(Id.); Regia: Kevin Macdonald; sceneggiatura: Jeremy Brock; fotografia: Anthony Dod Mantle; montaggio: Justine Wright; musica: Atli Örvarsson; interpreti: Mark Strong, Channing Tatum, Jamie Bell, Donald Sutherland, Denis O’Hare, Douglas Henshall, Paul Ritter, Jon Campling, Dakin Matthews, Jamie Beamish, Ben O’Brien; produzione: Toledo Productions, Film4, Focus Features; distribuzione: BIM; origine: GBR, 2011; durata: 114’


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