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The founder

Pubblicato il 17 gennaio 2017 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


The founder

"Perseveranza!"
- Ray Kroc

La storia del venditore Ray Kroc non è solo l’ennesima ricostruzione del successo di un uomo che ha saputo fondare un impero multimilionario giocando e scommettendo su se stesso e sul proprio intuito con perseveranza, cinismo e una buona dose di fortuna. Senza ombra di dubbio alcuno, la vita realizzata di Ray Kroc rappresenta lo zenith, la personificazione ultima del Sogno Americano. Dopo di lui, per lungimiranza e risonanza, trova posto solo Mark Zuckerberg, genio ideatore di Facebook, a oggi , la più grande macchina fabbrica soldi esistente al mondo.

Se del papà di Facebook se ne sono già occupati David Fincher (in cabina di regia) e il genio Aaron Sorkin (sceneggaitura), confezionando un film (The social network) che, più che un semplicistico biopic, assume i contorni di un saggio cinematografico sull’ultimo stadio del moderno capitalismo, per The founder è stato chiamato John Lee Hancock, già autore del pregevole, ma non eccelso, Saving Mr. Banks. Hancock è un regista che sa bene come maneggiare una storia di una certa caratura e, assistito in scena da un Michael Keaton rinato e straripante da tre anni a questa parte (brucia ancora il mancato Oscar come attore protagonista per il quale era candidato con il sontuoso Birdman), il cineasta di Longview torna indietro fino agli anni Cinquanta per narrare la rinascita di un uomo abbandonato a una vita incerta e senza apparenti sbocchi professionali, che vende la sua anima alla fama e al dio denaro per potersi sentire importante e realizzato. Sentirsi se stesso.

Ray Kroc, infatti, non ha inventato il McDonald’s. Lo ha dapprima conosciuto, durante un viaggio per affari, fino in California, quando posa lo sguardo incredulo e già rapito su un modesto chiosco di hamburger appartenente ai fratelli Dick e Mac McDonald (Nick Offerman e John Carroll Lynch), stupito dall’efficienza maniacale di gestione, al contrario di quella raffazzonata e priva di logica che offrivano i drive-in all’epoca; in seguito, con insistenza, è riuscito a convincere i fratelli a formare una società, puntando sull’affiliazione, con l’obiettivo di espandere il marchio e l’efficienza del McDonald’s al di fuori della mite San Bernardino; infine, col fiato della banca sul collo, una pesantissima ipoteca sulla casa e un desiderio irrefrenabile di spingersi sempre più in la, Ray Kroc si affida all’esperienza di un promotore finanziario, che lo indirizzerà verso l’acquisizione di beni sul mercato immobiliare, decuplicando i ricavi della società, con la conseguente estromissione perfino oltre i limiti della legge dei fratelli McDonald (pagherà profumatamente un avvocato per far scomparire i vincoli contrattuali stipulati con i due soci). La querelle finisce con un risarcimento a Dick e Mac McDonald, altri accordi infranti sulle royalties e la definitiva esplosione di fama e fortuna di Mr. Kroc, l’imperatore dei fast-food.

Ray Kroc non è un’intellettuale, non ha particolari talenti ingegneristici o artistici, ma ha tutto quello che gli occorre per diventare uno degli uomini più ricchi al mondo: uno spiccato senso per gli affari e tanta intraprendenza. Tuttavia è un uomo cinico ed egoista e Hancock sa bene che il suo percorso di formazione (o di distruzione spirituale) lo priverà di tutti gli elementi positivi e negativi che lo hanno accompagnato fino al momento di massima incertezza, quello stesso momento in cui decide di svendere se stesso agli affari (“In affari si è come in guerra!” dirà per telefono a un arrabbiatissimo Mac McDonald), per essere finalmente se stesso: oltre al sodalizio con i due fratelli, Ray abbandona la scontenta moglie Ethel (Laura Dern) chiedendo il divorzio, lasciandole tutto quello che ha, “ma non una singola azione del McDonald’s!”; Hancock lo veste in abiti scuri, marcando il passaggio al lato oscuro con accuratezza, senza mai esagerare, lasciando che sia la figura usurpatrice e cannibale di Ray Kroc a lasciare indignato lo spettatore.

Più che un film sulla trasfigurazione del Sogno Americano, The founder è la storia di un uomo che è riuscito a trovare un modo per poter vivere della sua stessa ambizione, anche a discapito del prossimo, facendo terra bruciata tutt’intorno a sè: sappiamo già come andrà a finire, ma Kroc/Keaton si atteggia già dalle prime battute del film come un arrivista, un predominatore, grazie a una posa rapace che esprime tutta l’ambiziosità di un individuo a tratti animalesco, ogni volta che si protende verso l’interlocutore inarcandosi in avanti, poggiando il piede sul paraurti di un’auto, o su una sedia, minaccioso e aggressivo, desideroso di arrivare a mettere le mani su tutto, prima di tutti; così, se uno dei caratteri predominanti della catena McDonald’s era il rigoroso attestato di qualità sui prodotti venduti, Kroc finisce col rinunciare anche a esso, sostituendo il composto naturale del frullato, con uno in polvere, umiliando addirittura i fratelli McDonald, ostinati a rifiutare tale scelta, quando invia loro un pacchetto contente una busta del prodotto in polvere, a certificazione del suo successo commerciale; infine se Ray Kroc è dapprima costretto a inseguire gli altri, per convincerli ad acquistare i suoi prodotti, mostrandosi avvilente e petulante, una volta realizzato il suo Sogno, appare sfuggente e incurante del mondo che lo circonda (non degna di uno sguardo un cronista, a cui lascia di sfuggita il suo biglietto da visita).

Ray Kroc non è un uomo che è riuscito a segare le sbarre della propria prigione professionale grazie all’ingegno e all’acume, ma rubando idee altrui e rimodellandole secondo i propri interessi espansionistici: questo racchiude il pensiero di Hancock su uno stile di vita, quello dei cercatori di fortuna, aberrante e senza controllo, addirittura volgare, sicuramente nocivo per i piccoli imprenditori. Ray Kroc è l’americano che ce l’ha fatta, a discapito dei suoi colleghi e dei fruitori del suo stesso servizio. Ray Kroc è l’anima nera dell’America che non offre da mangiare, ma divora e cannibalizza tutto quello che riesce a trangugiare.

The founder segue comunque gli stilemi del più classico dei biopic, lasciando sullo sfondo il contesto storico passato e “presente” (la depressione e gli anni del boom sono solo accennati o lasciati all’intuito dello spettatore), concentrandosi maggiormente sulla figura di un magnetico protagonista; scivola su un paio di ellissi mal gestite, ma si adatta per forma a una tavolozza di colori pastello slavati in tono con lo stile dell’epoca. Un film che riesce in pieno nel suo intento, fruibile e salvo da didascalismi. A pensarci bene, chi altri se non un uomo con un cognome che richiama onomatopeicamente il suono delle patatine e graficamente il nome del coccodrillo poteva riuscire in ciò in cui è riuscito Ray Kroc?


CAST & CREDITS

(The founder); Regia: John Lee Hancock; sceneggiatura: Robert D. Siegel; fotografia: John Schwartzman; montaggio: Robert Frazen; musica: Carter Burwell; interpreti: Michael Keaton, Nick Offerman, John Carroll Lynch, Linda Cardellini, Patrick Wilson, B. J. Novak, Laura Dern, Justin Randell Brooke, Kate Kneeland; produzione: FilmNation Entertainment, The Combine; distribuzione: Videa; origine: U.S.A., 2017; durata: 115’


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